I giocatori dell’Iran si piegano al regime e cantano l’inno nazionale: sono uomini terrorizzati
Dopo il clamoroso gesto del match d'esordio ai Mondiali contro l'Inghilterra, in cui i giocatori dell'Iran non avevano cantano l'inno nazionale in segno di solidarietà verso le proteste popolari contro il regime, stavolta le cose sono andate in maniera ben diversa prima del fischio d'inizio della seconda gara del girone contro il Galles. Quando le note dell'inno hanno cominciato ad essere diffuse dagli altoparlanti dell'Ahmad bin Ali Stadium di Al Rayyan, le telecamere hanno stretto il loro obiettivo fin quasi a toccare i volti dei giocatori di Queiroz.
In quel momento di tensione altissima, in cui si avvertiva anche a migliaia di chilometri il battere martellante dei loro cuori, questi undici ragazzi hanno dovuto decidere se spingere la soglia del coraggio ai limiti del martirio – visto quello che probabilmente li attende al ritorno in patria, senza contare le probabili minacce pendenti in queste ore sulle loro famiglie – oppure fare un passo indietro e cantare l'inno nazionale, simbolo dell'oscuro regime degli Ayatollah che continua ad ammazzare chi dallo scorso settembre manifesta dopo l'assassinio da parte della polizia della 22enne Mahsa Amini, ‘colpevole' di aver indossato non perfettamente il velo islamico.
Quando la telecamera ha iniziato la carrellata sui giocatori iraniani, si è capito subito che nello spogliatoio era stata presa una decisione diversa rispetto a quanto fatto nel match con l'Inghilterra: chi timidamente a mezza bocca, chi in maniera più decisa, tutti i calciatori hanno cantato l'inno. Eppure quel gesto, che avrebbe dovuto essere di supporto al proprio regime nella battaglia dei valori universali che si sta giocando, è apparso in tutta la sua evidenza come una forzatura compiuta sotto costrizione agli occhi del mondo.
Negli occhi di quei giovani, costretti dalla Storia a recitare un ruolo non scelto da loro quando da bambini avevano iniziato a correre dietro un pallone, si poteva leggere il terrore di chi vedeva la propria vita appesa ad un esile filo e sapeva che in quegli stessi istanti a Teheran c'erano occhi spietati ad osservarli e valutarne le mosse, i cenni, i movimenti delle labbra. Sarebbe una partita di calcio, una pagina di sport, ma pur con tutta la passione calcistica oggi abbiamo visto tutt'altro: uomini provati e spaventati, immagini difficili da mandare giù.
Peraltro il mutato atteggiamento dei calciatori non ha cambiato l'approccio alla vicenda dei tifosi iraniani presenti sugli spalti di Al Rayyan: dalle tribune sono infatti piovuti fischi copiosi durante l'inno nazionale e si sono viste anche persone piangere, segno di come la questione stia bruciando gli animi e i cuori di questo fiero popolo mediorientale.
Dal canto suo, la polizia del Qatar ha cercato di porre un argine alle proteste, facendo togliere le magliette "Women Life Freedom" alle donne iraniane dirette allo stadio.