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I 75 anni di Arrigo Sacchi, il Napoleone del calcio ancora oggi al centro di ogni discussione

Arrigo Sacchi prende la rivoluzione olandese, che era stata solo parzialmente compresa in Europa e nel mondo e la diffonde, diventando una sorta di Napoleone del calcio. Le sue vittorie e le sue idee sono così indimenticabili che ancora oggi, nella querelle tutta italiana fra risultatisti e giochisti, il suo nome è al centro di ogni discussione.
A cura di Jvan Sica
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Arrigo Sacchi compie oggi 75 anni e per tanti quello che ha fatto nel calcio e il modo in cui lo ha cambiato è ancora un argomento di discussione costante. La rivoluzione olandese di Rinus Michels, dopo tutto questo tempo, è così lontana da sembrare quasi un esercizio di stile, una conseguenza che viene dal ribollire inquieto di una società e di un popolo che è quello olandese. In fondo agli altri europei e ai sudamericani sembrava una scelta molto peculiare che si inseriva in una determinata tradizione e all’interno di dinamiche sociali uniche. Certo, si poteva provare a prenderne un piccolo pezzetto, ma ognuno restava solido sulle sue posizioni.

Arrigo Sacchi invece esporta la rivoluzione, è un Napoleone del calcio che però ha una miriade di “se” a cui dare conto. I calciatori erano troppo bravi, gli olandesi erano troppo avanti, i soldi di Berlusconi erano troppi, il potere del Milan era gigantesco, la propaganda che copriva tutto era troppo assordante. Se anche fosse vero tutto questo, ma vi rendete conto della forza che deve avere un signore di Fusignano nell’essere bandiera di una rivoluzione e guidarla, cambiando la testa e non solo il corpo di atleti milionari, di miliardari che volevano tutto e anche quella dei tifosi che vogliono vedere il risultato a fine partita e sfottere il compagno di banco?

Sacchi è un Napoleone e come tale ancora oggi, a 20 anni esatti dalla sua ultima panchina da tecnico, è amato da chi ne segue i dettami e odiato da chi in fondo fa lo stesso spacciandoli per altro. Il futuro non si può cancellare, quando si mettono i piedi in un’altra dimensione temporale non si possono semplicemente girare i tacchi e tornare indietro. Non è successo in nessun ambito del fare e dell’essere umano, non succederà mai nel calcio.

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Oggi si dibatte con violenza dialettica tra risultatisti e giochisti, con capipopolo, capi partito, aizzatori e demolitori altrui, come sempre successo in Italia dalle signorie in poi. Niente di nuovo se non che la figura napoleonica di Sacchi è ancora il centro di tutto, ripeto, a 20 anni dalla sua ultima prova da allenatore. È il centro perché Guardiola e Sarri, che potremmo mettere sulla sponda dei giochisti dichiarano appena possono che lui è il faro. Ma allo stesso tempo Ancelotti, che potrebbe invece essere schierato per i risultatisti dice che anch’egli è figlio di Sacchi, anzi lui forse più degli altri. E allora, Sacchi di chi è il profeta?

Ecco, forse il modo peggiore per definire Sacchi è proprio usare la parola con cui la propaganda di cui sopra lo ha ammantato, ovvero quella di Profeta (di Fusignano, per l’esattezza). Il profeta è chi mostra un orizzonte con parole che toccano l’anima, è una sorta di veggente, un sognatore. Sacchi invece ha sempre fondato tutto sullo studio degli altri e delle sue idee, per testarle e ritestarle, cercando di perfezionarle. Non profeta ma scienziato, architetto, e perché no artista, perché i più grandi artisti hanno proprio allevato idee invece di gettarle al vento.

Non chiamiamolo Profeta quindi, e ricordiamo non solo quello che ha vinto, quanto ha cambiato il calcio, quanto le sue idee hanno influito sui migliori allenatori attuali e sulle nostre Nazionali che stanno facendo bene. Ricordiamo quanto ci sarà di Sacchi anche domani e dopodomani, senza più guadarci indietro.

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