I 40 anni dell’Italia 1982, Tardelli a Fanpage.it: “Eravamo dei non vincenti, tornammo vincitori”
Quarant'anni, quasi mezzo secolo. Eppure è come fosse accaduto ieri: l'Italia campione del Mondo, in Spagna 1982, dopo aver superato in finale la Germania 3-1, per alzare al cielo il terzo titolo di sempre della nostra Nazionale. Una Nazionale di cui tutti ancora oggi ricordano ogni singolo particolare, ogni singolo protagonista a celebrazione di una pura magia calcistica che perdura nel tempo, inossidabile. Tra i campioni, anche Marco Tardelli che in quell'afoso 11 luglio 1982 si consacrò in eterno all'Olimpo calcistico, con un gol e con un urlo che si è trasformato nell'emblema del riscatto di un'intera nazione.
A distanza di 40 anni, e margine di un evento Le Coq Sportif, Marco Tardelli ricorda a Fanpage.it la leggendaria avventura azzurra in Spagna, nata tra impensabili difficoltà e un clima torrido e arido attorno al gruppo di Bearzot, abbandonato a se stesso dalla critica, dal pubblico e dalla stampa. Si risaliva la china del baratro del calcioscommesse, si arrivava al Mondiale con la famosa "Armata Brancazot" su cui nessuno avrebbe puntato un nichelino, eppure si compì uno dei più straordinari miracoli calcistici.
Sono trascorsi quarant'anni da quello storico Mondiale 1982, a distanza di quasi mezzo secolo tutti lo ricordano ancora: quale fu la magia che dura ancora oggi?
"Se parliamo di magia, l'unica magia che c'è stata è stata quella di riuscire a vincere un Mondiale. Noi non eravamo di certo favoriti, siamo partiti come un gruppo di non vincenti per poi tornare in Italia da vincitori. Di conseguenza, è stata quella la magia. Abbiamo anche avuto la fortuna di aver avuto una grande persona [il CT Enzo Bearzot, ndr] che ci ha guidato nel migliore dei modi e noi siamo riusciti a seguirlo: ci ha assecondato e a volte anche sgridato, spesso e volentieri quando era il caso e anche per questo che abbiamo fatto ciò che siamo riusciti a compiere".
Oggi, siete rimasti in contatto, ti senti ancora con i tuoi compagni e amici dell'82?
"Siamo riusciti a restare in contatto anche grazie alla tecnologia di oggi, ci sentiamo ancora con piacere. Abbiamo attivato un chat in cui chiacchieriamo ancora tra noi tutti".
Cosa significava a quei tempi giocare per l'Italia e rappresentare il calcio italiano nel mondo?
"Fantastico, ma è il giocare per l'Italia, in tutti i periodi, una cosa unica per noi giocatori perché la maglia italiana dovrebbe essere l'unica seconda pelle che ha un calciatore. Noi a quel tempo avevamo questo orgoglio e una grandissima passione per questa maglia".
E oggi? Cosa c'era nel gruppo dell'82 che nel calcio moderno, in uno spogliatoio non potrebbe mai esistere?
"Sinceramente nulla di davvero particolare o unico perché nel calcio come nella vita tutte le cose possono essere rifatte. Ogni volta che si vince o si compie un'impresa si dice la medesima frase: un momento irripetibile. Non è così e l'esempio l'abbiamo sotto i nostri occhi: l'Italia ha vinto gli ultimi Europei e anche questo può diventare ripetibile. Di conseguenza, la verità è che ogni volta che compi qualcosa di positivo si riesce a trovare l'alchimia giusta. Qual è quella giusta? È proprio questo il punto, nessuno lo sa, a volte nasce tutto anche per una pura coincidenza".
Un giocatore di oggi che ti sarebbe piaciuto vedere nel gruppo dell'82 con cui condividere lo spogliatoio a quel tempo?
"Credo che ce ne sia uno in particolare ed è Nicolò Barella. E' diventato col tempo un giocatore importante, uno che dà sempre tutto quello che ha sul campo. Potrebbe essere lui, certamente, ma ce ne sono anche tanti altri molto bravi e che quando giocano per la maglia azzurra danno tutto. In questo preciso momento, direi però proprio lui".
La Nazionale italiana e la stampa. Rapporti spesso difficili e complicati come con voi nel 1982: oggi che l'Italia è stata eliminata dal Mondiale, però, non c'è più la stessa acredine. Cos'è cambiato?
"È vero, c'è stata polemica e critica ma non parlerei di reale acredine contro di noi. Oggi sono cambiate le basi del rapporto tra giornalisti e calciatori, è cambiata soprattutto la distanza. Prima eravamo comunque molto vicini, potevamo offenderci, potevamo parlare e discutere. Ma alla fine si faceva pace anche in tre secondi. Era un rapporto completamente diverso, un rapporto decisamente molto più umano. Oggi il calcio è diventato un vero e proprio business, c'è meno contatto e (sorridendo) qualche tatuaggio in più".
Oggi l'Italia di Roberto Mancini deve ripartire, come giudichi il lavoro del CT e le prospettive della Nazionale?
"Roberto Mancini è bravo, alla ricerca di giovani e già si è portato avanti, lavorando bene in alcuni casi. Sta cercando di fare un ottimo lavoro trovando i giovani in un calcio che non ha mai tempo e non vuole aspettare. Bisogna avere pazienza e speranza di trovare un talento, alla sua Italia oggi manca un fuoriclasse come Baggio, Totti o un del Piero, giocatori capaci di tirare fuori qualcosa in più. Perché? Semplicemente perché purtroppo al momento non ce ne sono".