Guardiola 50: idee, innovazioni e modelli dell’allenatore che ha cambiato il calcio
Sono davvero pochi, anzi meglio dire pochissimi gli allenatori di calcio per i quali si può descrivere un calcio prima e dopo il loro avvento e lavoro. Questi pochi allenatori per i quali bastano due mani per contarli tutti hanno creato innovazioni partendo da ambienti di test che meglio assorbivano le loro rivoluzioni. L’unico a partire con una delle squadre migliori al mondo in quel momento oltre che da un punto di vista storico è stato Josep Guardiola quando prese in mano il Barcellona a partire dalla stagione 2008-2009.
La grande difficoltà di partire subito con idee molto nuove in una squadra di prestigio è il fatto che lì ci sarà di sicuro una tradizione da rispettare, in rosa ci saranno grandi giocatori, magari anche anagraficamente non giovanissimi e che molto spesso fanno maggiore resistenza nei confronti delle nuove idee e poi una tifoseria a cui pensare di dare in pasto cinque-sei ragazzini magari delle squadre giovanili non è possibile.
A partire dal giugno del 2008 Guardiola è riuscito a valutare queste limitazioni all’imposizione drastica delle sue idee e a farne dei punti di forza, con un’intelligenza poche altre volte vista nel mondo del calcio. È rientrato nel Barcellona, riaffermando una tradizione del club, che viene soprattutto dall’impronta cruijffiana nei suoi anni da calciatore e tecnico, ha compreso le esigenze di alcuni big della squadra, dandogli addirittura maggiori responsabilità, ha imposto due giovani di cui non poteva fare a meno, Piqué e Busquets. Partendo da qui ha immesso idee tattiche e di visione del calcio che fanno dire a pochi anni di distanza dalla loro epifania che nella storia del calcio è possibile già dire ci sia stato un prima e un dopo Guardiola.
Le idee soprattutto tattiche di Guardiola prendono da alcuni riferimenti chiari, Sacchi e Cruijff in primis, con concetti specifici invece recuperati da Ricardo La Volpe, Bielsa e altri allenatori sudamericani. L’intenzione di partenza però è prendere ma per estremizzare da una parte e correggere dall’altra.
Partiamo dalla posizione della linea difensiva. I difensori devono aggredire in avanti, come chiedeva Sacchi al Milan, ma la linea deve essere molto più vicina al centrocampo, per non lasciare spazio di manovra tra le linee stesse. Altra idea è il pressing. Deve essere feroce e compatto come quello che chiedevano alle loro squadre Sacchi e Cruijff, ma non deve attivarsi solo in determinati momenti della gara. Deve essere costante e soprattutto iper-aggressivo nel momento in cui la squadra perde la palla (la cosiddetta riaggressione o gegenpressing, ripreso e perfezionato con il Borussia Dortmund e il Liverpool da Klopp), per poter recuperare il pallone il più in alto possibile ed essere subito pericolosi nel momento in cui la palla viene riconquistata. Oggi questi concetti sono mandati a memoria da tutti gli allenatori, ma all’epoca sembrava di vedere un altro gioco.
Così come sembrava di vedere un altro gioco quando veniva realizzato così bene il Juego de Posición, che per tanti o almeno per i media è diventato semplicisticamente Tiki taka. Gestire il pallone dividendo il campo in fasce orizzontali e verticali in cui i calciatori devono spostarsi in continuazione, formando triangoli di manovra, è la riproposizione più eccelsa e pubblicizzata di un gioco che in Spagna è pensato almeno dagli anni ’90. Ovviamente avere Iniesta, Busquets e Xavi aiuta, come dicono i detrattori e i dubbiosi, ma il miracolo non è farli giocare bene con il pallone fra i piedi ma riuscire a far pensare loro in altro modo rispetto a come avevano sempre fatto.
Avere Messi poi ha portato a un’altra idea guardiolana, il falso nueve. I falsi centravanti esistono ancora una volta da tanto tempo, basti pensare a Hidegkuti della Grande Ungheria, ma con Messi si è di nuovo estremizzato il concetto. Il centravanti in quanto corpo che occupa quella determinata posizione non c’è, ma resta determinante lo spazio da far occupare ad altri corpi. Il nove non è più semplicemente falso ma inesistente, per poter poi prendere le sembianze di tanti altri calciatori.
Una caratteristica di Guardiola, che ancora una volta lo differenzia dai grandi allenatori generazionali che lo hanno preceduto, è il fatto di non aver paura di rimettere mano alle sue idee, non immaginandole mai come monolitiche. A differenza di quel che si dice, prendendo a piene mani dal senso comune, si adatta molto bene al materiale umano che ha a disposizione.
Quando passa al Bayern Monaco non ha due centrocampisti che sanno trattare il pallone e i ritmi di gioco come Xavi e Iniesta. Riporta il gioco di posizione ma dà nuovi compiti alle mezzali, pensando un gioco più verticale, in cui ritorna a essere importante un corpo in posizione da centravanti.
Va al Manchester City e non trova due esterni bassi come quelli avuti fino a quel momento e allora chiede e ottiene Walker per inventarsi il falso terzino, o falso tres, ovvero un calciatore che sappia sdoppiarsi in un doppio compito molto diverso in caso di possesso o non possesso della palla. E poi altri innovazioni, come il portiere che costruisce insieme ai due centrali, grazie alla qualità di Ederson, la mezzala che torna ai compiti del numero 10 tradizionale ma con un raggio d’azione molto più ampio sia in verticale che in orizzontale, grazie a De Bruyne, gli esterni che giocano molto più vicino al centravanti rispetto alla posizione di partenza negli half spaces in cui teneva gli esterni al Bayern e talmente tanto altro che fa quasi impressione vedere quanto gli altri allenatori hanno preso, copiato, spesso copiato male (la parabola che fa ridere e piangere di più è quella della Nazionale italiana. Con calciatori assolutamente fuori contesto sia l’ultimo Prandelli che Ventura volevano riproporre il calcio guardiolano, sfracellandosi sia ai Mondiali brasiliani che nelle qualificazioni per quelli russi), si sono fatti ispirare.
C’è anche un’ultima cosa interessante che riguarda Guardiola. Quando Sacchi perde in Bosnia e praticamente finisce la sua parabola da allenatore ha 50 anni. Quando Cruijff perde ad Atene contro il Milan di Capello ha 47 anni. Guardiola oggi compie 50 anni è ha incontestabilmente un grande futuro davanti a sé. Chissà quanto nuovo vedremo ancora.