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Gigi Delneri oggi: “Il calcio è diventato deludente, vedo applausi per i retropassaggi al portiere”

Luigi Delneri ha vissuto la sua ultima esperienza da allenatore al Brescia nel 2020. In un’intervista a Fanpage.it, l’ex tecnico di Juve, Roma, Sampdoria, Porto, Udinese e soprattutto Chievo, ha parlato del cambiamento del calcio: “Quando le mie squadre passavano la palla dietro al portiere il pubblico fischiava, ora applaude”.
A cura di Fabrizio Rinelli
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L'esonero di ottobre 2020 col Brescia coincise con l'ultima esperienza in panchina da allenatore di Gigi Delneri. Dopo quell'esonero il tecnico friulano, per anni tra i grandi protagonisti della nostra Serie A, è rimasto fermo in attesa di capire se ci sono ancora margini per vivere un'altra esperienza stimolante. "Il sogno è riportare la SPAL in Serie A" ha raccontato l'allenatore nel corso di un'intervista a Fanpage.it in cui ha ripercorso diverse tappe della sua carriera: dal Chievo dei miracoli all'impresa Champions con la Samp fino alle panchine di Roma e Juventus.

Nel mezzo l'unica avventura all'estero con il Porto post Mourinho che però di fatto non è mai cominciata: "Non ci siamo mai conosciuti". Delneri ha anche parlato della differenza sostanziale che c'è attualmente nel mondo del calcio rispetto a qualche anno fa. "Spesso si tira una sola volta in porta – spiega l'allenatore che sottolinea – Una volta mi fischiavano quando le mie squadre passavano la palla dietro al portiere, oggi il pubblico applaude". Negli occhi di tutti gli appassionati di calcio resta però ancora quella trionfale annata in Serie A col Chievo capace di contendersi per diverso tempo la testa della classifica con le big del massimo campionato italiano: "Da parte di tutti noi c'era incredulità".

Gigi Delneri sulla panchina dell'Udinese.
Gigi Delneri sulla panchina dell'Udinese.

Mister, cosa fa nella vita oggi lontano dal calcio?
"Faccio il nonno, la vita scorre tranquilla. I tempi ora sono cambiati e allontanarsi da casa diventa sempre più difficile. Seguo il calcio ma accetterei solo situazioni logisticamente vicine, nell'arco di 200 km".

Le è arrivata qualche offerta?
"Pochissime chiamate dall'Italia, dall'estero sì. Abbiamo finito a Brescia e poi ci siamo fermati. Ormai penso che mi possano chiamare per svolgere il ruolo di direttore tecnico, che è un'idea che mi piace".

C'è un progetto che le piacerebbe condividere?
"Mi rivedrei alla SPAL, è sempre stata la mia idea chiudere lì. Mi promettevo sempre che un giorno sarei tornato a Ferrara per riportarla in Serie A, anche se c'è già riuscito Semplici anni fa. È sempre stata una società che mi attrae".

Che posto è diventato il calcio? Oggi ad esempio il Milan decide di non prendere più Lopetegui dopo una protesta social dei tifosi.
"Nel caso specifico del Milan il pensiero va sempre a Maldini".

In che senso?
"Come si fa a mandarlo via dopo aver vinto lo Scudetto? Ha fatto scelte importanti. L'anno dopo poi sono stati fatti tanti cambi e alla fine ricade tutto su Pioli. Questo per me è un controsenso. Però i tifosi in generale – a prescindere dalla squadra – non possono decidere l'allenatore, non possono interferire nelle scelte societarie. D'altra parte anche l'allenatore, percependo tutto ciò, non sarebbe venuto".

Si è mai trovato in situazioni simili?
"Mai. Ma magari su di me c'è stato scetticismo, questo sì. Anche al Chievo mi presero dalla Serie C dopo essere stato fermo due anni e invece poi è andato tutto più che bene".

In cosa è cambiato il calcio?
"Lo ha cambiato l'avvento di questo possesso palla. È una ripartenza continua, è più fisico, più intenso. Spesso mi imbatto in partite in cui si tira una sola volta in porta nell'arco di 90 minuti. Credo che questo modo di pensare il calcio sia molto deludente".

L'incrocio con Allegri e la Juventus sulla panchina friulana.
L'incrocio con Allegri e la Juventus sulla panchina friulana.

Qual è la cosa che l'ha colpita di più?
"Quando le mie squadre passavano la palla dietro al portiere il pubblico fischiava, ora si applaude. Questo fa capire come sia cambiato tutto".

Le manca allenare dopo quattro anni di inattività?
"Mi manca il campo dopo 50 anni di calcio, ma sono anche consapevole che i tempi cambiano e bisogna adeguarsi".

Ci spieghi.
"Oggi il calcio è strutturato come gli anni '70, con cinque difensori e un gioco più tecnico. Quello attuale è un concetto vecchio, il calcio ha fatto un passo indietro dal punto di vista tattico. Ora c'è più possesso palla, si gioca col portiere per poi cercare il lancio lungo con la punta alta, ritrovata dopo anni rispetto agli attaccanti bassi che eravamo abituati a vedere qualche anno fa, come nel Barcellona di Messi".

E questo l'ha sorpresa.
"Si è scoperto che non sempre con la palla al piede si produce gol. Basti pensare che anche il Manchester City con Haaland ha preso un centravanti che possa riempire l'area. Si è ritornati al vecchio numero nove, che poi è sempre stato attuale. Per me però il calcio ha sempre bisogno di due punte capaci di dare una mano e aiutare i compagni. Una sola punta invece produce poco".

Delneri durante il ritiro con la Juventus, al suo fianco il brasiliano Diego.
Delneri durante il ritiro con la Juventus, al suo fianco il brasiliano Diego.

Cosa le ha lasciato l’esperienza alla Juve? Fu una grande occasione.
"L'occasione da prendere forse un anno dopo (ride, ndr). Con un anno in più, in Champions, magari la situazione sarebbe stata diversa e invece fu un anno di transizione, di grande cambiamento".

Cosa andò male?
"Noi il grande successo l'abbiamo avuto nel girone d'andata quando eravamo terzi. Poi al ritorno, dopo 2-3 infortuni, abbiamo sbagliato alcune partite e siamo arrivati settimi. Un risultato che per la filosofia della Juve non era l'ideale e così hanno cambiato. Per me comunque a 60 anni allenare la Juve significava coronare il sogno delle tua vita. Direi che i grandi cambiamenti sono anche portatori di rischi".

Oggi farebbe qualcosa di diverso?
"Noi non abbiamo potuto fare nulla se non accettare la situazione. Volevano una sterzata. Conte ha dimostrato poi di essere un grande innesto per la Juve, anche se sono cambiati diversi giocatori. Il mio è stato un lavoro oscuro, di scelte, ho fatto giocare tanti giovani. Ma la Juventus non poteva permettersi di arrivare ancora settima e così hanno cambiato, e bene, vincendo per diversi anni di fila".

Ha rimpianti?
"Diciamo che la scelta della Juve per me fu quasi obbligatoria, come si fa a dire no alla Juventus?Ho pensato che il rischio valeva la candela, pur sapendo che era un anno importante. Ero consapevole che doveva andare bene tutto.  Fu una scelta ponderata".

C’era già quel potenziale che poi è esploso negli anni a seguire?
"L'anno dopo cambiò molto, arrivarono 6-7 giocatori importanti, operarono nel modo giusto e fu l'anno della rinascita. Da lì è poi iniziata la lunga sequenza di campionati vinti l'uno dopo l'altro".

L'esperienza alla Roma, poi le dimissioni.
L'esperienza alla Roma, poi le dimissioni.

E invece la Roma?
"Io mi sono dimesso dalla Roma da sesto in classifica. Era un momento in cui non stavo bene, i risultati erano altalenanti. Fu un anno problematico: non mi ci trovavo, non potevo dare tutto me stesso".

Con il Chievo si stava accorgendo di fare qualcosa di unico?
"No… strada facendo. La Serie B fu un banco di prova, dopo la vittoria del campionato cadetto andammo in A con la stessa squadra più o meno. Non nascerà mai più una squadra di un piccolo borgo che combatte con le big, perciò sì, fu un'esperienza unica".

Ci racconti quella favola.
"Ognuno aveva il suo compito, in una società snella con delle idee. Ciò che ricordo di quell'esperienza è l'immagine della squadra dopo una partita vinta facilmente 2-0 a Firenze: vidi l'incredulità dei giocatori, dopo 10 minuti dal triplice fischio eravamo ancora seduti sulle panche negli spogliatoi a guardarci in faccia e a chiederci se fosse tutto vero quello che avevamo fatto. Da lì siamo partiti e abbiamo fatto un'annata straordinaria".

Col Chievo ha scritto la storia.
Col Chievo ha scritto la storia.

Nacque il ‘Chievo dei miracoli'.
"Siamo stati 2-3 mesi primi in classifica, abbiamo chiuso quinti con la qualificazione in coppa Uefa. Da neopromossa fu un grande risultato, non esisterà mai più una cosa del genere".

È il suo più grande vanto da allenatore.
"Come il Chievo nessuno, anzi: quell'anno lì meritavamo di vincere il campionato".

Poi venne scelto per allenare il Porto campione d’Europa dopo Mourinho. Ma cosa successe?
"Successe che loro avevano l'opportunità di sciogliere il contratto prima di un mese e così fecero. Il mio avvento significava cambiamento, ma la vecchia squadra era ancora ancorata al passato come concetto, non era pronta. Diciamo che non ci siamo mai conosciuti".

Come se lo spiega?
"Per me dovevano giocare i vari giovani, come Bosingwa e Pepe, ma evidentemente i giocatori non erano d'accordo".

Il capolavoro Champions sulla panchina della Sampdoria.
Il capolavoro Champions sulla panchina della Sampdoria.

Infine la Sampdoria in Champions, spezzando il sogno Scudetto della Roma?
"Fu dura, ma vincemmo meritatamente con una squadra fatta di grande applicazione. Era un gruppo completo con 2-3 giocatori di livello superiore. I gol di Pazzini e le giocate di Cassano furono determinanti per andare in Europa".

Cosa ricorda di quella sera all'Olimpico?
"Io quella sera sapevo solo che avevo fatto un colpo per portare la Sampdoria in Champions. Poi è chiaro che poteva dispiacermi per la Roma, ma questo è il calcio".

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