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George Best non è solo whisky: il 1968 stellare del calciatore che ha segnato un’epoca

Il 24 dicembre 1968 viene certificato qualcosa di ovvio: George Best vince il Pallone d’oro come miglior giocatore europeo. In First Division ha segnato 28 gol, ha vinto la Coppa dei Campioni e segnato il gol-icona che permise quel trionfo. Dopo ci saranno tanti altri Best, ma il numero 7 del 1968 non deve essere dimenticato.
A cura di Jvan Sica
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Il 1968 è un anno stracolmo di notizie, avvenimenti storici, cambiamenti e momenti epocali. Cambia il mondo perché cambia l’atteggiamento di una parte della società nei confronti dell’autorità e del potere, portando l’intero globo avanti di secoli in un solo anno. Nel 1968 accade anche un’altra cosa storica e meravigliosa, George Best viene eletto miglior calciatore d’Europa, vincendo il Pallone d’oro il 24 dicembre 1968. Un premio che gratifica il genio, ma che certifica anche che un calcio di pura bellezza è ancora una volta l’orizzonte a cui tutti guardano per divertirsi e sognare.

Il 1968 di George Best è assolutamente stellare. Iniziamo con la First Division. Il Manchester United è secondo, dietro addirittura al Manchester City che vince il titolo dopo 31 anni, ma il nordirlandese, da ala destra, è top goalscorer con 28 gol in 41 partite disputate. Ma i gol vanno anche pesati e che valore hanno le reti al White Hart Lane contro il Tottenham per la vittoria per 2-1, quella contro l’Arsenal per il 2-0 casalingo, la doppietta al Craven Cottage contro il Fulham, la tripletta casalinga contro il Newcastle? In FA Cup i Red devils giocano solo due partite contro il Tottenham e Best segna di nuovo per il 2-2 all’Old Trafford, ma c’è la Coppa dei Campioni, il vero traguardo stagionale posto da Matt Busby e l’intera dirigenza. Per l’allenatore quella Coppa era una vera e propria missione, in quanto dopo una trasferta di Coppa dei Campioni a Belgrado nel 1958 vide morire 11 uomini fra calciatori e staff in un incidente aereo. Voleva vincerla con tutto se stesso, per dedicarla alla loro memoria.

In quell’edizione della Coppa George Best fu davvero sensazionale, non solo per i gol, che alla fine furono 3 in 9 partite, ma per le meraviglie che mostrava ogni volta che toccava il prato con gli scarpini. Già al secondo turno fu decisivo nel 2-1 casalingo contro il Sarajevo, dopo che l’andata era terminata 0-0 e in semifinale letteralmente dominò contro il Real Madrid di Zoco, Gento e Pirri. All’Old Trafford segnò il gol vittoria con un sinistro di prima su cross arretrato di John Aston. Al Bernabeu, sul 3-1 per il Real Madrid, gioca una di quelle partite che restano nella leggenda, fornendo due assist per il pareggio di Sadler e Foulkes, esaltandosi senza paura (miedo escenico in che senso?) contro le randellate merengue.

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E poi c’è la finale e il gol che fa la storia. 1-1 a Wembley contro il Benfica di Eusebio, minuto 99’, primo tempo supplementare. Rilancio di piede del portiere Stepney, Bryan Kidd spizza di testa, Best e Jacinto Santos arrivano insieme sul pallone. Il numero 7 in due secondi tocca per tre volte il pallone, entrando nella leggenda. Prima di punta, come un velluto sulla pelle, per il tunnel a Santos, poi d’interno destro per dribblare secco il portiere José Henrique, dopo una finta che non fa prigionieri e poi di piatto di sinistro per appoggiare in porta. L’abbraccio finale con Busby e il suo sorriso sono la cartolina di quella serata.

Finisce la stagione, ma l’anno 1968 continua. Best segna altri 8 gol in First Division, e fa un’altra partita senza alcuna paura alla Bombonera di Buenos Aires contro l’Estudiantes per l’andata della finale di Coppa Intercontinentale, che però i Red devils perderanno. Dopo quell’anno ci sarà un altro Best, tanti altri Best e tanto di cui parlare oltre al calcio. Ma quel 1968 vissuto con la maglia rossa numero 7 sulle spalle ha avuto pochi eguali.

George Best magari non è stato solo questo, raccontiamo ancora oggi tutte le sue irriverenze e le sue scelte a metà fra il rammarico del talento disperso e l’ironia di chi guarda a posteriori com’è andata a finire. Ma soprattutto negli ultimi anni parliamo e di conseguenza guardiamo poco il Best del 1968. Non è un bicchiere di whisky a fare un uomo. Forse nemmeno una finta su un terzino. Ma le due cose è bene guardarle sempre insieme quando si parla di George Best.

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