Per capire l'effetto del lavoro di Gennaro Gattuso sul Napoli negli ultimi sei mesi, e in generale il suo approccio al ruolo di allenatore, più che la visione di Napoli-Juventus è utile soffermarsi su un altro momento della finale di Coppa Italia contro la Juventus. Quei due minuti intercettati dalla regia poco prima della premiazione, durante i quali il Napoli si ritrova al centro del campo nel silenzio surreale dello stadio Olimpico. Ringhio si sbraccia per chiamare tutti, dai calciatori ai membri dello staff tecnico. Perché vuole tutti lì con sé. Un gruppo compatto.
Quello stesso gruppo che Gattuso aveva trovato sgretolato al suo arrivo sulla scia della notte dell’ammutinamento, il vero capolinea della precedente gestione tecnica. Ringhio si è ritrovato al comando di una truppa scossa da multe e diatribe legali, con la testa divisa tra campo e tribunale. Gli sono bastate poche partite e diversi scivoloni per capire che il problema, prima ancora che tattico, era mentale. E così, contestualmente alla ricostruzione di un'identità tattica (ormai palese), ha iniziato un lavoro certosino, paziente, metodico: da una parte si è fatto garante degli interessi della squadra – pretendendo in cambio impegno massimo – dall'altra ha avviato un lavoro diplomatico con la società. Nel giro di qualche settimana ha guadagnato la fiducia di tutti, nel Napoli. E proprio ieri, sul prato dell'Olimpico, si è capito perché.
Circondato da giocatori e staff tecnico, si è messo al centro del gruppone con Aurelio De Laurentiis. E lì, davanti a tutti e forte di un trofeo appena conquistato, ha mantenuto sia la parola data ai suoi calciatori, sia l'impegno assunto nei confronti del club. Con il carisma di un gigante.
Nel giro di pochi secondi prima ha pubblicamente chiesto al presidente di sistemare alcune pendenze economiche con la squadra (oltre alle multe sono in ballo anche le ultime mensilità), poi ha invitato i calciatori a non mollare di un centimetro in vista dei prossimi due mesi di tour de force. E lo ha fatto nel modo più efficace possibile, portando ad esempio uno di loro: José Maria Callejon. "C’è gente in scadenza prima di andar via, c’è gente che piange". Per arrivare dritto al cuore.
Un momento di intimità di squadra, davanti agli occhi di milioni di spettatori, che è valso da lezione di leadership in mondovisione. E conferisce a Gennaro Gattuso una nuova dimensione, percepibile anche visivamente in quegli istanti: è il centro del nuovo Napoli.