Gattuso ringhia contro i leoni da tastiera: “Io razzista? Sono un ‘terrone’ che s’è fatto da solo”
Razzista. Omofobo. Macho man e sessista. A Valencia hanno tirato fuori dal cassetto perfino allusioni molto gravi sulle sue condizioni di salute pur di opporsi all'arrivo di Gennaro Gattuso sulla panchina del "pipistrello". La campagna mediatica che ha trovato riverbero sui social network è stata come il fuoco di sbarramento: martellante e mirato, come accadde anche in Inghilterra quando si diffuse la voce che il Tottenham avrebbe puntato su di lui come manager degli Spurs. "Non lo vogliamo" dissero allora, #noagattuso è oggi l'hashtag che è stato dedicato dai tifosi della Comunità all'ex tecnico di Milan e Napoli.
Veleno e sospetti, insofferenza nei confronti della preponderanza del ruolo di Jorge Mendes che avrebbe "piazzato" un uomo della sua scuderia nel club iberico. C'è anche questo dietro la protesta divenuta battage, dietro le insinuazioni pesanti sulla malattia neuronale che lo affliggerebbe. Nell'estate scorsa Gattuso incassò il colpo e guardò avanti, si limitò a dire che quella levata di scudi a Londra gli aveva fatto più male di qualsiasi esonero.
Adesso no, ringhia alla sua maniera, si difende, rispedisce tutto il malcontento al mittente. Non ci sta e passa all'attacco. Sentirsi (anche) dire che è xenofobo è la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Parla e racconta la sua verità. "Ma siamo impazziti? Basta, che si diano tutti una calmata", lo sfogo del tecnico nell'intervista alla Gazzetta dello Sport. E prova a smontare tutte le obiezioni che gli sono state scagliate addosso.
Numero uno, la frase sulle donne e, nello specifico, sulla figlia del presidente Silvio Berlusconi, Barbara. Un errore di cattiva interpretazione perché in realtà voleva dire altro: "Volevo difendere il lavoro di Galliani che era stato messo da parte in malo modo". Numero due, il razzismo. E qui Gattuso sbotta: "E allora perché avrei fatto acquistare Bakayoko quando ero al Napoli? Mai avuto nulla contro i giocatori di colore, molti dei quali sono stati miei compagni di squadra e amici".
Il resto è rabbia che tracima, gli viene da dentro, dal profondo del cuore, dal vissuto personale di ragazzo partito da Corigliano Calabro che s'è fatto da solo, fino a vincere tutto col Milan e la Nazionale, per nulla intimorito di andarsi a fare le ossa all'estero, in Scozia, in una realtà completamente nuova, diversa. "Che ne sanno di me queste persone che parlano di razzismo, questi leoni che si nascondono dietro una tastiera o dietro un nickname? Da ragazzo sono andato a giocare in Scozia… sapete che può voler dire per un ‘terrone' trovarsi fuori dall’Italia e dimostrare a tutti di riuscire a cavarsela? Tutto quello che sono diventato è stato il frutto di fatica, impegno, sudore – la chiosa di ‘ringhio' -. Nessuno mi ha regalato nulla".