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Gattuso non ha più una vita: “Non so come mia moglie stia ancora con me, devo cambiare”

Rino Gattuso si racconta al pubblico spagnolo a circa metà della sua avventura a Valencia. L’ex giocatore spiega il suo modo estremo e logorante di vivere il mestiere di allenatore: “Ho chiamato Ancelotti e ho chiesto ‘ma come si fa?'”.
A cura di Alessio Pediglieri
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Gennaro, Rino, "Ringhio". Gattuso. Fra poco festeggia i dieci anni da tecnico ma sembra l'altro ieri vederlo imperversare in mediana, digrignando i denti sulle caviglie degli avversari. Dopotutto è tra i più giovani allenatori in circolazione, a soli 44 anni, e può vantare già una carriera di tutto rispetto, con tanto di gavetta e club di prestigio: Sion, Palermo, Creta, Pisa, Milan, Napoli, Valencia. La Spagna è la sua ultima e attuale tappa di formazione professionale, ennesima dimostrazione di quanto non riesca a staccare la spina dal calcio: prima giocato, oggi vissuto a 360 gradi per insegnarlo ai suoi calciatori.

Una passione "insana", nata nel lontano 1990 quando tutto inizia a Perugia, primo club a soli 12 anni lasciando la Calabria, i suoi amici, la sua famiglia: "Rifarei tutto a pensarci" racconta in una intervista esclusiva ad "As" a Valencia, la sua nuova e attale "casa". "Ho dormito da solo, da bambino non è facile prendere certe decisioni ma non penso mai cosa sarebbe successo senza il calcio. Mi sento fortunato, ma so di aver dato tutto quel che ho sempre avuto e se dovessi rifarlo, ripeterei tutto". Un incipit che lo ha consacrato da calciatore, vincendo tutto con il Milan, diventando campione del Mondo con la Nazionale. E riprendendo il filo del discorso dalla panchina, dove si è dovuto reinventare, crescere, trasformarsi.

"Oggi un Gattuso non lo acquisterei, avevo carattere, correvo tantissimo ed ero forte ma il calcio è cambiato, si è evoluto. Eppure c'è stato un giocatore in cui mi sono rivisto in questi mondiali: Amrabat, mi ha commosso". Un cambiamento totale, un outing professionale che ne dimostra la crescita da tecnico: "Mi piace guardare ogni partita a disposizione, il calcio si è evoluto e cambiato. Ho imparato a capire e ho capito molto". Soprattutto grazie alle lezioni di alcuni grandi ‘maestri' ai quali Gattuso ha avuto l'umiltà e la determinazione di rivolgersi. Il primo in assoluto, che gli ha aperto la mente sul ‘nuovo' calcio, Pep Guardiola: "Quando l'abbiamo incontrato col Milan loro giocavano un calcio verticale noi abbiamo solo corso per 90 minuti. Mi sono chiesto com'era possibile… poi ho parlato con Guardiola e non ho capito nulla per mesi finchè ho visto il calcio in modo diverso rispetto a quando giocavo: mi piacciono i giocatori di qualità, un calcio pensato, funzionale che sa quando si deve pressare e quando andare in verticale".

Il "ringhio" di Gattuso a Valencia dov'è in panchina da inizio stagione
Il "ringhio" di Gattuso a Valencia dov'è in panchina da inizio stagione

Un "chakra" calcistico che lo ha spinto alla sua seconda vita professionale: "Per fare l'allenatore non basta, bisogna andare in campo e imparare. Ecco perché ho voluto iniziare da zero: io conoscevo il calcio, ma non ero preparato". E così, un nuovo ‘tuffo' totale nel pallone, cui Gattuso si sta dedicando anima e corpo forse ancor più di quando giocava. "Tra allenare e giocare è più facile la seconda perché adesso io mi ritrovo a vivere il calcio pienamente e quando io penso al calcio tu non hai più una vita… devo ringraziare mia moglie, non so davvero come faccia ad essere ancora con me" conclude alludendo alla moglie Monica, madre dei suoi due figli, Gabriela e Francesco, e compagna di una vita, conosciuta a Glasgow quando vestiva la maglia dei Rangers.

Un caloroso abbraccio da allenatori: Carlo Ancelotti e Rino Gattuso nel 2018
Un caloroso abbraccio da allenatori: Carlo Ancelotti e Rino Gattuso nel 2018

Una vera e propria "malattia" calcistica per la quale ha rivolto l'appello anche all'amico di sempre, Carlo Ancelotti, l'altro ‘maestro' del Gattuso allenatore: "Quando ho iniziato ad allenare ho chiamato subito Ancelotti e gli ho domandato come si fa… Per me è difficile: comincio alle 8:30 e torno a casa alle sette di sera. Poi a casa vado in bagno e mi viene in mente qualcosa, così lo scrivo su un pezzo di carta. Io vivo il mio lavoro, così. Dovrei cambiare, perché non puoi passare 18 o 19 ore a pensare al calcio… ma è il mio stile: lavorare e lavorare. Penso al calcio 24 ore, ho dedicato la mia vita al pallone". Dopotutto chi nasce quadrato non può morire tondo. Con buona pace della signora Monica.

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