
Ha da passa' ‘a nuttata. È scritto sul frontespizio del calendario per il nuovo anno presentato dal Napoli. In primo piano c'è la faccia di Lorenzo Insigne. Un capitano la mette sempre, nel bene e nel male. Lui era in prima fila anche un anno fa, nella serata dell'ammutinamento e della levata di scudi contro il presidente, De Laurentiis, contro l'allenatore di allora (Ancelotti), contro se stessi. Fu proprio il 24 azzurro a capeggiare la rivolta di Masaniello che ebbe un finale differente: la testa tagliata non fu la sua ma quello dello staff tecnico, che non piaceva alla squadra e nemmeno tanto al patron che avrebbe preferito più un uomo di frusta.
Lo ha trovato in Gattuso, avesse (ri)preso Mazzarri sarebbe stata la stessa cosa a giudicare da quel che si vede. Non a caso, compattezza e ripartenze, alias catenaccio e contropiede (e, per carità, non c'è da vergognarsi), erano le armi di Walter che si faceva forte di tre tenori (Cavani, Hamsik, Lavezzi) e una ciurma di difensori (Grava, Aronica e Cannavaro) che Jack Sparrow avrebbe preso volentieri con sé.
Cosa sia adesso questa squadra, se un concerto d'archi oppure un'intonata e affiatata banda da festa di paese, ancora non è chiaro pur avendo attualmente una delle rose più complete. Non un corazzata spacca campionato ma abbastanza fornita nei ruoli come non era capitato finora. Anche in quel caso, tanti anni fa, agli albori del Napoli che era in crescita – mentre adesso ha imboccato la china opposta, finita la magica illusione del sarrismo -, parole come veleno, cattiveria agonistica, concentrazione e mentalità, gruppo, stare sul pezzo etc etc erano il pane quotidiano.
"Qua si mangia pane e veleno". "No, Pasqua'… solo veleno". Il Napoli deve averne ingoiato troppo fino a stordirsi. E pure ‘Ringhio' ne ha abusato. Il fatto che in un anno, dopo la rivoluzione e una Coppa Italia conquistata con il buon vecchio modulo ricavato nel solco di trincea e assalto con la baionetta, non sia ancora riuscito a trovare la dimensione giusta per Fabian Ruiz è solo una delle pecche. Lo spagnolo è l'emblema di questa situazione paradossale: talento in nazionale, brutta copia in azzurro. E che fine ha fatto Demme l'equilibratore? Allargando il discorso a tutta la squadra, decida che identità (tattica) deve avere consapevole che il risultato del campo è l'unica cosa per la quale si viene giudicati al di là del folklore.
"Ci sono rimasto malissimo per aver lasciato la squadra in 10, un capitano non deve farlo – dice Insigne in conferenza stampa -. Il ritiro non è punitivo, serve per stare concentrati. Ci aiuterà". Sembra Peppiniello che ripete "Vincenzo (alias, Gattuso), m'è padre a me". Restiamo in tema teatrale tanto per rappresentare ‘miseria e nobiltà' di una squadra che in un anno è tornata al punto di partenza senza passare dal via.
È già fuori dalla corsa scudetto (ma in fondo non è mai stato quello l'obiettivo reale, nemmeno quando c'era Sarri e l'estetica del bel gioco aveva trasformato un popolo di tifosi in fini dicitori di calcio), bazzica intorno alla zona Champions nemmeno fosse Felice Sciosciammocca che mette gli spaghetti in tasca perché non crede ai suoi occhi quando vede la tavola imbandita. E se tutto va bene… "Peppiniello, quelle pizze diventano due".
