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Futre a Fanpage: “Il Milan di Berlusconi era di un altro pianeta, Rafael Leao da Pallone d’Oro”

Ex Atletico Madrid e Milan, Paulo Futre dimostra di non aver perso il contatto con la realtà calcistica attuale. Molto legato ai colori dei madrileni ma altrettanto grato al Milan, il portoghese parla della sua carriera e introduce la sfida di stasera a San Siro tra la squadra di Simeone e quella di Pioli.
A cura di Antonio Moschella
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Pallone d'argento nel 1987, anno in cui aveva vinto la Champions League da protagonista con il Porto, Paulo Futre è oggi commentatore per varie televisioni portoghesi. Dotato di una tecnica individuale strepitosa in campo, l'ex capitano dell'Atletico Madrid dimostra di aver anche del talento a livello dialettico e ricorda a Fanpage.it la sua esperienza al Milan, umanamente molto intensa. E oltre ad analizzare lo scontro di stasera tra le sue ex squadre dà la sua anche sui suoi illustri compatrioti Cristiano Ronaldo e José Mourinho.

Se le dico Champions League cosa mi risponde?
"Facile, la finale vinta nel 1987 dal mio Porto contro il Bayern contro ogni pronostico".

Alla fine di quell'anno, nonostante le sue grandi prestazioni e la vittoria europea, il Pallone d'oro fu però assegnato a Gullit e lei finì secondo…
"Partiamo dal presupposto che Gullit era un fenomeno, dei migliori della sua epoca. Però nella stagione 1986-87 lui aveva vinto il campionato olandese e io la Champions, ed ero stato giudicato migliore giocatore della finale. Nella considerazione delle votazioni si sarebbe dovuto prendere in considerazione la stagione precedente, e ricordare che la Champions è la Champions. Ma, onestamente, dopo quanto successo con Modric nel 2018 non mi sorprenderebbe che il mio secondo posto sia stato frutto di una scelta politica".

Cosa successe nel 2018?
"È stato rivelato che ci sono stati dei voti fantasma! C'è stato un giornalista delle Isole Comore che non esisteva. Onestamente, se nel 2018 sono accadute cose del genere, mi immagino a cosa possa essere accaduto prima. Però, ripeto, Gullit era un fenomeno".

Dopo la vittoria della Champions lei passò all'Atletico Madrid di Jesús Gil, e nel suo primo derby contro il Real vinceste 4-0 al Bernabeu con un gol e un assist suo…
"Un momento di delirio. Era il mio primo impatto con la realtà del derby madrileno e avevo vissuto la mia consacrazione a 21 anni. Poi, due anni dopo divenni capitano e sviluppai un profondissimo sentimento di appartenenza con l'Atleti. Ero il primo tifoso, i colori biancorossi mi entrarono dentro".

Sei anni al Vicente Calderón ma nessun titolo, nonostante le mire di Gil. Come lo spiega?
"Mi ritrovai prima a competere con il Real Madrid de la Quinta del Buitre e poi con il Barcellona del Dream Team di Johan Cruyff. Inoltre il presidente non aveva pazienza e dopo due sconfitte rovinava tutto. Forse solo con Luis Aragonés in panchina dimostrò di avere pazienza, e infatti arrivammo terzi e vincemmo la Coppa del Re".

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L'Atletico di oggi è invece una realtà del calcio europeo.
"L'Atletico di oggi è il Cholo. È tutt'uno con il suo allenatore. Ed è la squadra che difende meglio in tutto il mondo, anche se a volte le cose possono andare storte, come contro l'Alaves, quando non sono riusciti a rimontare".

Che partita sarà stasera a Milano?
"Per il Milan sarà difficilissimo battere l'Atletico. Però credo anche che i rossoneri sono in un ottimo momento di forma e che non hanno meritato di perdere a Liverpool. Essere rimasti fuori dalla Champions per tanti anni è stato pesantissimo per il Milan, che però adesso se la può giocare per passare il turno, anche se non voglio scegliere tra Milan e l'Atletico".

C'è anche il suo Porto nel gruppo della morte in Champions.
"Uff, quando ho visto estrarre nello stesso gruppo l'Atletico e il Porto ho pensato che entrambe potessero passare agli ottavi. Poi quando è stato estratto anche il Milan ho pensato a una sola cosa, che voglio che il Liverpool finisca ultimo nel girone! (ride)".

Che giocatori sceglie dell'Atletico e del Milan di oggi?
"Vedi, io sono molto patriottico, quindi ti dico Joao Felix e Leao. Sono entrambi due grandi calciatori che ancora devono trovare continuità, ma per me sono fortissimi. Felix l'anno scorso è stato condizionato da un infortunio, ma è stato decisivo per la vittoria del titolo di Liga da parte dell'Atletico. Leao, invece, secondo me è un autentico animale. È un fenomeno che deve trovare più continuità dal punto di vista mentale, ma per me tra qualche anno potrà lottare per vincere il Pallone d'oro".

Lei è un simbolo dell'Atletico. Com'è invece il suo legame con il Milan?
"Fortissimo ancora oggi. In Italia tifo per loro. La mia tappa in rossonero fu condizionata dai tanti infortuni al ginocchio, ma il club mi trattò benissimo. Ebbi la fortuna di giocare con grandi campioni, di affrontare in allenamento la difesa composta da Tassotti, Costacurta, Baresi e Maldini, la più forte di tutti i tempi. Il Milan di Berlusconi era una squadra di un altro pianeta, e ricordo che chi decideva chi meritasse o meno il premio Scudetto era Baresi, un leader unico. Anche quando ero infortunato viaggiavo con la squadra e ne sentivo il calore, per questo porto ancora il Milan nel cuore".

Dopo Pinto da Costa al Porto e Gil all'Atletico, lei ebbe a che fare anche con Berlusconi…
"E non devi dimenticare Bernard Tapie all'Olympique Marsiglia! A modo loro erano tutti dei geni, dei presidenti fenomenali. Mentre Pinto da Costa spiccava per la sua pazienza e la capacità di gestire anche le sconfitte, Gil era più vulcanico. Berlusconi, invece… Ricordo quando arrivava all'allenamento in elicottero, sembrava che stesse arrivando una divinità. Salutava tutti e conosceva i nomi anche dei cuochi e dei custodi. E poi Milanello… Nel 1995 il concetto di centro sportivo non era ancora come oggi, ma Milanello era il cielo, sembrava di essere in un sogno".

Prima del Milan lei passò per la Reggiana. Come fu possibile un'operazione del genere?
"Il Marsiglia doveva vendere i suoi pezzi pregiati e ogni squadra in Italia poteva avere solo tre stranieri, perché ancora doveva irrompere la legge Bosman. Firmai un pre-contratto con il Milan e fui mandato alla Reggiana in attesa che si liberasse un posto. Dovevo restare lì sei mesi che poi diventarono un anno e mezzo per i miei continui infortuni al ginocchio. Fui operato due volte in un anno e passai più tempo in clinica che ad allenarmi, ma non dimenticherò mai il calore dei tifosi granata".

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La sua carriera finì un po' come quella di Van Basten, alla soglia dei trent'anni e per reiterati problemi fisici…
"Nel caso di Van Basten fu la caviglia e per me il ginocchio. Fui operato varie volte nella stessa stagione, ma non riuscii a guarire. La causa di tutto furono le frequenti infiltrazioni di cortisone per giocare ogni partita. Tre o quattro infiltrazioni a settimana sono un'autentica iniezione di veleno. Oggi per fortuna è diverso e i giocatori recuperano meglio".

La sua squadra portoghese, il Porto, potrà ripetere quanto di buono fatto la stagione scorsa?
"Credo che Sergio (Conceiçao ndr) ha trasmesso alla sua squadra il suo DNA di guerriero. L'anno scorso mi sono venute le lacrime agli occhi quando hanno eliminato la Juventus. Con un uomo in meno ma sempre dando il massimo, hanno sudato sangue e hanno passato il turno. Il Porto ha una mistica che lo accompagna da sempre, e a Torino ne abbiamo avuto la prova".

Quella sera Cristiano Ronaldo non incise, e potrebbe aver maturato in quel momento la decisione di lasciare la Juve.
"È facile prendersela con Cristiano, ma nei due anni precedenti contro l'Ajax e contro il Lione aveva segnato, facendo il suo dovere. Sono i compagni ad averlo tradito. Il primo anno alla Juve aveva anche segnato una tripletta contro l'Atletico ribaltando l'andamento dell'eliminatoria. Ma incolpare lui è semplice, così come accaduto con Messi al Barcellona per le eliminazioni contro la Roma e il Liverpool".

Oggi il portoghese più famoso d'Italia è Mourinho. Come ci spiega la scelta di allenare la Roma?
"Per lui si tratta di una sfida. Un po' come ai tempi del primo Porto e anche un po' del Chelsea, che prima di lui non aveva vinto niente. Ma solo un pazzo potrebbe pretendere di vincere subito. Quello della Roma con Mourinho è un progetto che va preso come tale. Credo inoltre che dopo aver firmato con la Roma ha avuto anche un'offerta del Real Madrid, ma ha sposato il progetto della Roma perché ama le sfide".

L'arrivo in porta di Rui Patricio è garanzia di successo?
"È un ottimo portiere con ancora molti anni davanti. Ed è l'uomo giusto per vincere, perché per farlo devi sempre partire da un gran portiere".

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