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Francesco Anacoura, portiere italiano in Portogallo: “Impossibile giocare in totale sicurezza”

Francesco Joyce Anacoura, portiere italiano del Maritimo, ha raccontato a Fanpage.it la pandemia vissuta nel calcio portoghese, dove milita dal 2017. Prodotto del vivaio interista, con trascorsi nelle giovanili di Parma, Juventus e nella cadetteria italiana, oggi gioca in Portogallo: “Cambierà tutto, già gli allenamenti non sono più la stessa cosa. La priorità è la salvaguardia della salute”.
A cura di Alessio Pediglieri
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Il calcio è passione, amore, emozioni. Anche lavoro per chi vi dedica i migliori anni della propria vita cercando quella strada aperta a tutti ma che solo in pochi riescono a seguire fino in fondo. Soprattutto quando ti riserva scelte e decisioni non semplici, come lasciare il proprio Paese, i propri affetti e le amicizie, per affrontare una nuova sfida e conquistare il sogno. Così lo e stato anche per Francesco Joyce Anacoura, portiere classe 1994, nato a Milano, prodotto del vivaio interista. Una vita trascorsa a difendere i pali delle giovanili nerazzurre poi del Parma e della Juventus per affrontare una lunga gavetta tra le serie minori italiane, fino ad approdare nel calcio portoghese. Prima al Cova da Piedade e dal 2019 al Maritimo nel massimo campionato che ripartirà il prossimo 4 giugno.

Una nuova avventura professionale che si è improvvisamente fermata in una anonima giornata di marzo, quando il Covid-19 ha fatto capolino anche in Portogallo, costringendo alla sospensione di tutte le attività a tempo indeterminato, calcio compreso. Anacoura ne ha parlato in esclusiva a Fanpage.it.

Francesco, differenze e affinità tra Portogallo e Italia. Quando è scoppiata la pandemia da voi e quali sono state le misure d'emergenza?
"In Portogallo il coronavirus è arrivato più tardi, circa 35 giorni dopo l’Italia. Nel momento in cui è scoppiato sono state adottate le misure di sicurezza anche nel calcio ma non ci siamo fermati subito. Ci hanno fatto allenare in gruppi di 4, a distanza e senza palla per alcuni giorni fino alla decisione dello stop del campionato, poi facendoci restare a casa. Il tutto nelle prime settimane di marzo".

L'emergenza sanitaria ha coinvolto tutti i settori e anche quello dello sport, per voi calciatori qual è stata la prima sensazione che avete avuto? Come vi siete organizzati?
"Le comunicazioni sono avvenute tramite ‘Whatsapp', sul gruppo con tutti i membri della squadra e dello staff tecnico e dirigenziale. I provvedimenti che son stati presi come detto in precedenza son stati il blocco quasi immediato di tutte le attività, dagli allenamenti alle partite di campionato. Durante questa quarantena abbiamo avuto modo di allenarci facendo delle riunioni online visto che abbiamo vissuto nell'incertezza di sapere se il campionato ripartisse o meno. Sono stati mesi pesanti, ma non essendo la situazione grave come poteva esserlo in Italia. Il presentimento che si ripartisse c’è sempre stato, anche per questo ci hanno detto che per quanto possibile era importante tenersi allenati".

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A livello generale, il mondo del calcio ha fatto e sta facendo il necessario per salvaguardare la salute di chi deve scendere in campo ed esporsi giocando?
"Nel momento in cui abbiamo ripreso gli allenamenti, ovvero questa settimana, sono state adottate tutte le misure di sicurezza: ci siamo allenati sempre in piccoli gruppi, a distanza, provando la febbre prima di ogni allenamento. Non credo ci siano state pecche a livello organizzativo, hanno deciso di sospendere tutti i campionati eccetto la "Liga NOS" perché ovviamente le società hanno più disponibilità per adempiere a quelle che sono le normative obbligatorie. Personalmente credo sia impossibile, visto quanto successo a livello globale, poter giocare in totale sicurezza, salvaguardare la salute dei giocatori e di chi ruota intorno a questo mondo. Ci sono paesi che hanno deciso di sospendere le attività agonistiche fino a settembre. Il numero di contagiati in Portogallo non è così allarmante e il piano sanitario presentato dalla Lega è risultato applicabile".

Come hai vissuto l'isolamento? Vi hanno chiesto una riduzione degli stipendi come è accaduto per alcuni club di Serie A o non ci sono stati problemi economici?
"La quarantena è stata pesante, come per chiunque immagino, la mancanza del pallone, del campo, dello spogliatoio si è fatta sentire parecchio. A livello economico ci hanno chiesto una riduzione degli stipendi di marzo, aprile, maggio e giugno. Tramite il capitano che ha parlato a nome della squadra con la società, siamo riusciti a trovare un accordo che ha lasciato tutti contenti".

Raccontaci una giornata post-Covid, per un professionista del pallone. Ti senti di poter giocare a calcio ancora in sicurezza?
"Purtroppo dovendo riprendere a tutti i costi, in questa situazione, con le normative che ci sono, gli allenamenti sono cambiati completamente. Ci alleniamo solo ed esclusivamente in gruppi di 4, massimo 5. Non possiamo condividere gli spazi, quindi usufruire degli spogliatoi, per questo andiamo al campo già vestiti per l’allenamento e una volta finito torniamo a casa per farci la doccia. Dovendo mantenere le distanze, gli esercizi sono molto spezzettati, i tempi sono più lunghi e quindi non si riesce a lavorare con un certo ritmo, per quanto riguarda il lavoro specifico, a livello di corsa quindi lavoro aerobico, non ci sono limitazioni. Sicuramente mette un po’ di tristezza allenarsi così, anche solo per non aver la possibilità di vivere lo spogliatoi con i propri compagni. Speriamo sia una situazione che non duri a lungo".

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Sei d'accordo nel riprendere a giocare? Ci sono esigenze e interessi economici, in ballo. Ma la salute?
"Personalmente credo riprendere a giocare non sia una priorità. Il coronavirus ci ha mandato un messaggio importante, la salute è il bene più prezioso che abbiamo, nel momento in cui viene a mancare tutto perde un po’ di valore. Anteporla agli interessi per quanti grandi possano essere non credo valga la pena, sono il primo a voler tornare a fare ciò che amo, che nel mio caso è il calcio ma per ognuno di noi può essere rappresentato da altro, ma non a discapito della salute".

Tornare a giocare a porte chiuse, senza tifosi, in stadi vuoti, con l'ansia di un nuovo contagio… è calcio questo?
"Sono dell’idea che solo giocare a porte chiuse sia sbagliato. Il calcio è della gente e per la gente in primis, dai tifosi ultrà ai padri che portano i figli allo stadio. Fino a quando non si può garantire che questa avvenga in sicurezza a parer mio sarebbe meglio aspettare. Mi immagino quanto possa essere triste un derby o una finale di Champions senza tifosi, perde tutto di valore".

Dal Portogallo avrai seguito sicuramente le vicende della Serie A. A tuo parere cosa accadrà in Italia? E alla cadetteria che hai conosciuto bene per avervi giocato per anni, cosa succederà?
"Per quanto riguarda l’Italia ho già sentito qualche chiacchiera da bar su una possibile riformula dei campionati, con due gironi di serie B e una serie C con meno squadre e semi professionistica. Onestamente non so quanto possa essere un bene un progetto di questo tipo però guardando il lato pratico, sicuramente in Italia nelle serie minori – ad eccezione di qualche grande squadra solida economicamente – gli stipendi erano veramente bassi. Credo che la situazione sia destinata a peggiorare con e dopo il Covid-19: molte squadre avevano difficoltà ad onerare gli impegni economici presi già prima, alcune non riuscivano a finire la stagione, quindi potrebbe essere una misura necessaria. Mi auguro con tutto il cuore che non accada ma prevedo una crisi non indifferente per il calcio e nello specifico nelle serie minori".

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