Il calcio a porte chiuse è l'unica forma di calcio possibile in questo momento. Su questo, da tempo ormai, siamo tutti d'accordo. È decisamente più discutibile un altro aspetto: il tentativo – sicuramente in buona fede, sia chiaro – di riempire il vuoto lasciato dai tifosi sugli spalti mediante artifizi tecnologici tanto avanzati quanto rivedibili.
Il primo approccio di questo tipo (ma meno invadente) è stato adottato in Spagna e ha debuttato qualche giorno fa, in concomitanza con la ripresa della Liga. La finale di Coppa Italia tra Napoli e Juventus, sulla stessa scia, si è giocata con una cornice inedita: una coreografia virtuale formata da tanti quadratini colorati, perennemente animati. Un modo per cercare di rendere più gradevole l'esperienza televisiva, penalizzata nell'impatto visivo dalle tribune deserte, che ha però riscontrato effetti devastanti nella visione della partita stessa, come segnalato da numerosi tifosi e appassionati sui social.
Il costante movimento dei quadratini animati – con tonalità che spaziano dal verde, bianco e rosso del tricolore fino ai colori delle due squadre – ha la conseguenza peggiore possibile al di là dello schermo: finisce per distrarre lo spettatore da cosa accade in campo. L'ipnotica danza dei tifosi virtuali diventa così elemento di disturbo anziché cornice d'accompagnamento, rendendo l'incontro uno spettacolo inguardabile a prescindere dai suoi contenuti tecnici.
Un esperimento destinato a restare un caso isolato, a differenza della Spagna. Almeno per il momento. E un insegnamento per il futuro a lungo termine, quello di cui si blatera di tanto in tanto, tra proposte di arene virtuali e concept di nuovi stadi sempre più avveniristici quanto freddi. La passione non si può sostituire con un'infornata di pixel. Il calcio senza tifosi, per fortuna, non potrà mai esistere.