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Filippo Galli: “A casa mia ho un documento firmato da Allegri, dentro c’era il futuro del Milan”

Filippo Galli si racconta a Fanpage.it in una lunga intervista, tra il passato da calciatore e quello da allenatore e responsabile del settore giovanile, prevalentemente al Milan: aneddoti e retroscena di una carriera sempre ad alti livelli.
A cura di Alessio Morra
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Una vita nel Milan, prima da calciatore in uno dei periodi più vincenti della storia rossonera e poi a stretto contatto con i ragazzi, come allenatore della Primavera e successivamente da responsabile del settore giovanile. Filippo Galli conosce il calcio come pochi altri avendolo respirato ad altissimi livelli sin dagli inizi della sua carriera nei primi anni '80. Soprattutto sa come lavorare con i giovani: tanti quelli passati sotto la sua supervisione al Milan, in una fase nella quale l'investimento sulle generazioni future era diventato cruciale per le strategie del Diavolo. E proprio su quei tempi ha raccontato retroscena interessanti nella lunga intervista a Fanpage.it che ripercorre tutta la sua traiettoria professionale, comprese le esperienze con il Brescia e in Inghilterra, con la maglia del Watford. Oggi racconta la sua visione del calcio sulle pagine di un blog (filippogalli.it) in attesa di una nuova opportunità che gli consenta di mettere in campo le sue competenze.

Filippo Galli cosa fa oggi?
Spero di tornare presto a lavorare con i giovani, aspetto una proposta interessante e ho in uscita un libro. Inoltre ho aperto un blog che curo con molta attenzione. Scrivo tanti articoli, anche con degli amici, si parla di tattica, di Milan, della storia del club, delle partite di oggi. Si chiama ‘La complessità del calcio'. Poi tengo lezioni in alcune aziende, mi occupo di sport management.

La tua è stata una carriera eccezionale, che hai vissuto in gran parte con il Milan. Che ricordi hai degli inizi?
Ho esordito nel Milan nell'epoca Farina. Quella era una società traballante rispetto ai tempi di Berlusconi. Ho esordito nella stagione 1983-1984 in un Milan-Verona 4-2. Per me è stato come toccare il cielo con un dito, ho coronato un sogno essendo tifoso milanista fin da quando avevo sei anni.

Poi è cambiato tutto quando si è insediato Silvio Berlusconi e poco dopo è stato ingaggiato Sacchi. Loro hanno rivoluzionato il calcio italiano.
Quando è arrivato il presidente ci è stata data una stabilità economica ed è stata avviata sin da subito una grande programmazione. Il presidente era visionario e il nostro allenatore era innovativo. Posso dire, al di là dell'essere tifosi di questa o quella squadra, che c'è un calcio prima di Arrigo Sacchi e un calcio dopo Arrigo Sacchi.

Aldo Serena e Filippo Galli in un Torino-Milan della stagione 1984-1985.
Aldo Serena e Filippo Galli in un Torino-Milan della stagione 1984-1985.

Un Milan bello e vincente che ha scritto la storia giocando in modo totalmente innovativo.
Quel Milan ha portato un calcio spettacolare, che piaceva perché era un calcio offensivo anche se si basava su una grande organizzazione difensiva o di squadra. Con Liedholm si erano visti i prodromi, come dicono quelli bravi, ma è stato con Sacchi che la difesa ha iniziato a fare l’elastico. La squadra si muoveva come un blocco unico, si producevano contropiede molto rapidi. Tutto questo portava un grande entusiasmo. Quello Milan ha fatto la storia perché ha vinto tanto, ma anche per come ha vinto.

Era il periodo in cui la Serie A era davvero il campionato più bello del mondo.
Dall’apertura delle frontiere, dopo il Mundial del 1982, tutti i giocatori più forti erano in Italia, anche in squadre che non erano le cosiddette big. Penso a Zico, Socrates, Junior, c’era anche Dunga che giocò poi nel Pisa. Ovviamente voglio citare Platini, Rummenigge, Falcao, Maradona, che è stato il più forte in assoluto. Oggi è diverso, i grandi calciatori vanno in Premier.

Qual è l’avversario più forte che hai sfidato? 
Fuori concorso Maradona, l'ho già detto. Il migliore in assoluto. Marcandolo andai bene, tutto sommato, perché all'epoca Liedholm mi metteva a uomo, anche se amava la zona. Fu così anche con Zico. Se devo citare un giocatore che mi ha fatto impazzire posso fare il nome di Casagrande che ha giocato per Ascoli e Torino. Era difficile da anticipare, ma sono riuscito comunque a fare la mia parte.

Dicembre 1986, in un Milan-Napoli il duello tra Galli e Maradona.
Dicembre 1986, in un Milan-Napoli il duello tra Galli e Maradona.

Hai vinto tre volte la Coppa dei Campioni, quella del 1994 da titolare e contro una squadra formidabile: il Barcellona di Cruyff.
Era una squadra fortissima e faceva un calcio splendido. C'erano Romario, Stoichkov, Koeman, Guardiola. A noi mancavano Baresi e Costacurta squalificati. Capello aveva delle titubanze: all'epoca non capivo, ora sì. Provò altre soluzioni, poi decise di far giocare me con Maldini in mezzo e sulle fasce Tassotti e Panucci. Al di là del risultato (4-0, ndr) è stato meraviglioso il modo in cui abbiamo vinto.

Avevi davanti giocatori formidabili, all'epoca c'erano solo due sostituzioni e il turnover non era ancora in auge. Come facevi a farti trovare sempre pronto?
Quello che ho sempre pensato è che il Milan era la mia Nazionale. Non ho mai giocato nella Nazionale A, ho giocato nell’Under 21 e ho disputato le Olimpiadi. Per me era un dovere allenarmi, ma anche un piacere condividere l'allenamento con grandi compagni.

Dopo una vita al Milan e sei finito prima alla Reggiana e poi al Brescia, dove hai ritrovato Baggio e hai giocato con un giovane Pirlo.
Avevamo Mazzone allenatore. Disputammo una serie di campionati ottimi. Su Pirlo che dire? Si vedeva già da ragazzino che aveva grandi qualità, per la visione di gioco, per come gestiva della palla. Era giovane ma aveva già grande maturità, era già pronto per alti livelli.

Filippo Galli e Bobo Vieri in un Inter-Brescia.
Filippo Galli e Bobo Vieri in un Inter-Brescia.

Poi hai avuto anche un'esperienza in Inghilterra con il Watford allenato da Vialli.
Per me è stato tutto fantastico, sono sempre stato un amante del calcio inglese e a 38 anni non pensavo di poter più raggiungere quelle magiche atmosfere. A sorpresa arrivò la chiamata di Vialli: parlai prima con Caricola, che era un collaboratore di Luca, che mi chiese informazioni su Tare e su un difensore centrale. A quel punto mi proposi dicendogli che il Brescia non mi avrebbe rinnovato il contratto e andai in Inghilterra.

Come andò?
All’inizio l’impatto fu forte, con Vialli giocavamo un calcio di fraseggio, meno ‘long ball'. C’era tanta fisicità, allenamenti intensi, molto duri. Si giocava il sabato e il martedì. Non era facile, dal mio punto di vista disputai una buona stagione. La squadra arrivò a metà classifica.

Hai dei rimpianti nella tua carriera?
No, non ho grandi rimpianti. Perché gli infortuni mi hanno tolto qualche stagione e tante partite, ma al tempo stesso mi hanno allungato la carriera. Alla fine ho giocato tanto e mi sono ritirato quando avevo 42 anni. Forse l’unico rimpianto è la Coppa Italia del 1990. Giocammo la finale di ritorno a Milano, perdemmo 1-0 con la Juve con gol di Galia e tanti tifosi juventini a San Siro. Quel trofeo mi manca.

Dopo essere stato allenatore della Primavera e per un anno nello staff di Ancelotti, ti sei dedicato per un decennio al settore giovanile del Milan. Quello dei giovani è sempre un tema caldo. 
I giovani vanno educati, bisogna spiegare loro il calcio e il gioco, che non è semplice.

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Dicendo questo ti inserisci in un dibattito che in Italia è vivo da tempo ormai.
Il calcio è un gioco complesso, non è semplice. Ci sono i compagni e gli avversari. Non è come la ginnastica artistica dove la performance è solo la tua. Ci sono molte variabili, bisogna adattarsi alle dinamiche e alle tante cose che cambiano.

E qui si ritorna all'ormai noto dibattito tra giochisti e risultatisti.
Su questo tema si possono dire molte cose. Io sono un fautore della ripartenza dal basso e potrei iniziare da qui. Ma voglio raccontarti una storia.

Prego.
Io sono diventato direttore del settore giovanile del Milan nel 2009. Tre anni dopo il Milan cede Ibrahimovic e Thiago Silva e decide di investire meno. La società mi chiama e mi dice che dobbiamo puntare sui giovani dall’Under 15 in su, perché vanno portati in prima squadra. Quindi chiedo a Galliani di poter vedere dal vivo il lavoro dei settori giovanili di Barcellona, Ajax, Benfica, Manchester United e Anderlecht. Li andiamo a seguire e alla fine stiliamo un documento che diventa un librone potenzialmente utilissimo all’ecosistema Milan.

Filippo Galli con Adriano Galliani ai tempi del Milan.
Filippo Galli con Adriano Galliani ai tempi del Milan.

E poi cosa succede?
Quel documento viene firmato da me, da Allegri (che era l'allenatore, ndr) e da Tassotti. Viene portato a Galliani e si stabilisce che i ragazzini già a 12 anni debbano partire con la costruzione dal basso, giocare in modo propositivo, essere proattivi. In tanti hanno criticato quella scelta. Giocare in questo modo aiuta i ragazzi, li fa crescere. Un’azienda migliora se è proattiva, altrimenti rischia il crollo.

Quel librone adesso dov’è?
Una copia è anche a casa mia.

Nel tuo percorso nel settore giovanile hai cercato anche di migliorare gli allenatori.
Quando ero al Milan ho cercato di educare anche i tecnici. Loro devono educare il talento dei ragazzi, ma a loro volta devono migliorarsi. Per far migliorare i ragazzi deve crescere anche il capitale umano, a livello di competenze nella sua complessità. É importante la crescita delle persone adulte. Abbiamo fatto formazione sia nel Milan che in Federazione che al Parma. Il giocatore deve curare il proprio apprendimento, ma anche chi è dall’altra parte deve avere conoscenze ed esperienze.

Tra i tanti ragazzi esplosi sotto la tua guida c'è qualcuno che ti ha dato una particolare soddisfazione?
Ce ne sono tanti. Penso a Donnarumma, ma anche a Calabria, che è il capitano del Milan, o a Bellanova, che quest’anno è esploso. Mentre come allenatore della Primavera penso a Darmian, un ragazzo d’oro che ha sempre appreso tanto: è uno che dove lo metti sta. Ma voglio citare anche Cutrone, Petagna e Cristante che gioca in Nazionale. Ricordo con piacere ragazzi come Vido o Segre che pure stanno facendo bene in Serie B. E naturalmente penso pure a Locatelli, che all’epoca era un giocatore di grande qualità. Aveva talento, sapeva giocare corto, faceva il lancio lungo, vedeva linee di passaggi come pochi altri, era un creativo. Ora è diventato un centrocampista di rottura, dopo essere stato snaturato dal suo allenatore. Poi con i ragazzi è complicato, perché c'è chi pensi debba esplodere e far venir già San Siro, ma non è sempre così.

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Perché noi da noi i giovani vengono lanciati tardi? 
Noi non ragioniamo di sistema. Il problema è che nelle società ci sono delle correnti: magari c’è l’allenatore che vuole lanciare un determinato giocatore, il direttore sportivo invece no, e allora c'è anche la paura di sbagliare e ci si limita.

Quanto conta la mano di un allenatore per i ragazzi?
Tantissimo. Un allenatore deve essere bravo ad accompagnare il talento, deve mettere il calciatore nelle condizioni migliori, deve avere empatia verso il giocatore.

Dalla tua risposta viene facile pensare al ritratto di Ancelotti.
Carlo è il migliore, insieme a Guardiola. Non lo dico perché è un amico e perché ha vinto tutto. Ma la sua carriera parla per lui.

Pioli merita la riconferma al Milan?
Sta dimostrando di meritarla. Tra mille difficoltà, le critiche della piazza, della tifoseria, i tanti infortuni, ma ha sempre tenuto la barra dritta: è secondo in classifica e nei quarti di Europa League. Pioli ha il gruppo in mano, poi dipende dalle dinamiche interne e dal suo rapporto con Ibra e con la società.

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