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Farioli non è il primo italiano ad allenare in Olanda: Morales racconta l’Ajax, il Bayern del Trap e il Milan di Berlusconi

Massimo Morales a Fanpage.it ha esposto il suo pensiero sulla scelta dell’Ajax di puntare su Farioli e ha raccontato la sua esperienza come primo allenatore italiano in Olanda al De Graafschap, la sua passione per il ‘calcio totale’ e Cruijff, il Bayern Monaco di Trapattoni e il Milan di Berlusconi.
A cura di Vito Lamorte
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Francesco Farioli, allenatore italiano dell'Ajax.
Francesco Farioli, allenatore italiano dell'Ajax.

Francesco Farioli è diventato, a sorpresa, allenatore dell'Ajax il 23 maggio 2024. Una delle squadre con l'identità più forte della storia del calcio ha deciso di puntare su questo giovane tecnico italiano che dopo la bella esperienza al Nizza potrebbe consacrarsi in uno dei club europei più iconici e ricchi di storia. Altro dato: si tratta del primo tecnico straniero della squadra di Amsterdam dal 1997, anno in cui subentrò Morten Olsen.

Il bilancio finora è di 5 vittorie e 2 sconfitte in 7 partite ufficiali tra Eredivisie e qualificazioni per l'Europa League ma c'è ancora tanto lavoro da fare per Farioli. E lui stesso lo sa benissimo.

L'ex preparatore dei portieri di Roberto De Zerbi al Benevento e al Sassuolo, però, non è il primo italiano ad allenare in Olanda: Massimo Morales venne chiamato al De Graafschap alla fine degli anni '90 ma le cose non andarono benissimo, nonostante la proprietà del club fosse dalla sua parte: "Il fatto che un italiano venne scelto per allenare in Olanda fu visto come uno scandalo".

Massimo Morales durante un allenamento.
Massimo Morales durante un allenamento.

Da Caserta era cresciuto nel mito del calcio totale dell'Olanda degli anni '70 e il suo idolo è sempre stato Johan Cruijff, tanto che fin da bambino decide che il suo primo viaggio da maggiorenne sarà ad Amsterdam per andare a conoscere la cultura che tanto lo affascina. In quegli anni non era come adesso, tutto a portato di click e di smartphone: avere notizie su specifici campioni e tornei non era affatto facile ma la passione ha prevalso su tutto e Morales riuscì a coronare il sogno di indossare la mitica maglia dell'Ajax, seppur con la squadra Amateur sul finire degli anni '80, e di conoscere l'uomo che Gianni Brera ribattezzò il "Pelé bianco".

Nel suo percorso calcistico c'è il Bayern Monaco come assistente di Trapattoni e il Milan di Berlusconi come talent scout internazionale, oltre alle parentesi importanti in Repubblica Ceca al Příbram e in Ungheria alla Honvéd.

A Fanpage.it Massimo Morales ha esposto il suo pensiero sulla scelta dell’Ajax di puntare su Farioli e ha raccontato la sua esperienza come primo allenatore italiano in Olanda al De Graafschap, la sua passione per il ‘calcio totale' e Johan Cruijff, il Bayern Monaco di Trapattoni e il Milan di Berlusconi.

La maglia dell'Ajax Amateur di Massimo Morales.
La maglia dell'Ajax Amateur di Massimo Morales.

Perché l’Ajax ha deciso di puntare su Farioli: cosa ha visto nel suo calcio che potrebbe riannodare i fili con la sua vecchia tradizione?
"Io penso che le dinamiche dell'Ajax sono cambiate rispetto alla tradizione e il club viene da un paio d'anni di confusione dirigenziale. Hanno voluto dare un taglio alla tradizione e al passato, adeguandosi al momento. Sono andati alla ricerca di un allenatore giovane che fosse vicino ai canoni del calcio dell'Ajax, del ‘calcio di oggi' e per la situazione monetaria attuale del club. Se l'Ajax avesse avuto una certa disponibilità come qualche anno fa forse sarebbe andato a prendere De Zerbi, Klopp, Nagelsmann… ma oggi non è più così. Farioli era parte di un gruppo di allenatori il cui profilo era stato ritenuto interessante: un po' a sorpresa di tutti è stato scelto e, conoscendo alcune persone vicine al club, mi hanno raccontato che c'erano alcuni nomi sulla lista e poi hanno scelto lui".

Lei è stato il primo italiano ad essere chiamato per allenare in Olanda: come venne accolto al De Graafschap?
"Il fatto che io venni scelto per allenare una squadra in Olanda fu visto come uno scandalo. Venni accolto malissimo e non fu affatto semplice. Il De Graafschap era stato acquistato dalla famiglia Pozzo e aveva bisogno di un allenatore italiano di fiducia. Non avevo ancora la licenza UEFA Pro e mi affiancò un allenatore olandese, che mi accolse male pure lui. Gli unici che mi accolsero in maniera positiva furono i ragazzi che arrivavano dall'Ajax, perché io cercavo di riproporre alcune delle idee che avevo imparato ad Amsterdam mentre gli altri avevano un'altra mentalità. Con il mio lavoro e il modo di comunicare riuscii ad accattivarmi la squadra, facendo anche risultati positivi: poi ci furono dissidi interni, arrivò un altro allenatore perché il primo non mi vedeva di buon occhio. Quella stagione fu un caos e lasciai l'Olanda, ma in quel momento mi accorsi della differenza che c'erano tra la mentalità Ajax e tutto il resto. Io all'epoca avevo 35 anni e fu un'esperienza durissima".

Farioli dà indicazioni ai suoi calciatori in campo.
Farioli dà indicazioni ai suoi calciatori in campo.

Guardando anche l’Olanda agli Europei una domanda sorge spontanea: esiste ancora il ‘calcio totale olandese' o quell’identità si è persa?
"Quel calcio lì non c'è più. Ronald Koeman è passato da diversi stili tra Ajax, PSV e Barcellona… rispetto alle sue ultime esperienze ha fatto bene e probabilmente meritavano un po' di più alla fine. Ha avuto tra le mani un buon gruppo e ha avuto tra le mani una discreta generazione di giocatori. Il calcio all'olandese, in maniera pura, non c'è più".

Lei ha conosciuto e frequentato Johan Cruijff…
"Cruijff mi ha cambiato la vita durante la finale di Coppa dei Campioni che l'Ajax vinse contro l'Inter. Mi innamorai di questo calcio olandese e poter andare ad Amsterdam una volta maggiorenne divenne un sogno anche per sfuggire dall'hinterland napoletano. Tutta la mia adolescenza si basò su questo campione ma all'epoca non era come oggi, con tutte le possibilità che ci sono. È stato sempre descritto come uno presuntuoso ma era molto più umano di quello che potesse sembrare dall'esterno. L'idolo, il poster, e la persona con cui potevo colloquiare: un sogno per me. Lo vidi per la prima volta quando facemmo un torneo col Bayern Monaco e il Barcellona e poi nel 2010 quando stavo alla Honved e lui era alla Masia a vedere una partita della giovanili del Barça. Il mio rapporto con Cruijff non è stato quello di un amico ma un rapporto tra due persone che si conoscono. Lui è stato il fulcro di tante scelte della mia vita e, secondo me, è stato il giocatore più forte della storia del calcio superiore a Maradona e Pelé. Lui è stato il calcio nella sua accezione più totale. Il calcio di oggi nasce da lì".

Massimo Morales insieme a Trapattoni ai tempi del Bayern Monaco.
Massimo Morales insieme a Trapattoni ai tempi del Bayern Monaco.

Il suo percorso in panchina, però, iniziò in Germania a Monaco: che cos’è il Bayern visto da dentro?
"Il Bayern è una macchina mastodontica a conduzione familiare. Io l'ho sempre percepito come una famiglia nonostante questa grande organizzazione, sia da allenatore delle giovanili che da assistente di Trapattoni. A livello organizzativo era e forse lo è ancora, probabilmente hanno perso qualcosa a livello tecnico dopo che hanno lasciato Hoeness e Rummenigge ma sono rientrati dopo i casini che sono stati fatti. La macchina ha vinto undici titoli su dodici, un paio di Champions e ha fatto più di qualche semifinale. Parliamo di un club straordinario, che ha fatto qualche errore ma i responsabili, come Kahn e Salihamidžić, sono già stati messi da parte. Pensavano di avere il potere di fare come volevano ma non era chiaramente così e ne hanno pagato le conseguenze".

Cosa vuol dire lavorare con Trapattoni.
"Lui in Germania è diventato un personaggio cult e alcune espressioni usate nelle sue celebri conferenze sono diventate di uso comune. I tedeschi non erano abituati agli allenatori importanti provenienti dall'estero, questo arrivò dopo, ma lui è stato una superstar fin da subito per tanti motivi. Il primo anno è stato difficile perché eravamo nel pieno di un ricambio generazionale, facemmo quinto posto e arrivammo in semifinale di Champions League. Poi siamo andati via entrambi ma lui è ritornato e ha vinto il campionato e la coppa nazionale".

Facendo parte del Bayern avrà sicuramente incontrato Franz Beckenbauer…
"L'ho conosciuto perché lui era il presidente quando io ero al Bayern e spesso ci si incontrava al bar del centro sportivo. Parlava con tutti quelli che erano lì, offriva il caffè… non aveva dimenticato da dove veniva e si relazionava con tutti allo stesso modo. È stato un giocatore fortissimo e il primo giocatore a fare marketing su se stesso. Io, però, voglio sottolineare il suo lato umano. L'hanno messo in mezzo con quella storia della corruzione dei Mondiali ma era davvero una brava persona".

Massimo Morales durante un'intervista in Germania.
Massimo Morales durante un'intervista in Germania.

Il Milan di Berlusconi ha segnato un vero punto di svolta per il calcio italiano: cosa significava farne parte.
"Io ero appena tornato da un'esperienza in Africa e per una serie di casualità mi ritrovai nell'ufficio di Ariedo Braida. Io pensavo di entrare nel settore giovanile, invece finii per fare il talent scout internazionale per la prima squadra e il Match Analyst di Tabarez per le gare di Champions League. Ad esempio, io feci i nomi di Blomqvist e di Shevchenko per la prima volta (io volevo portarlo a Milano quando aveva 18 anni). Io feci da tramite per portare van Gaal al Milan ma poi il presidente fermò tutto. Al Milan c'era grande competenza e organizzazione, che già conoscevo dal Bayern, ma era un ambiente molto più familiare anche con Galliani e Berlusconi. C'era una cura del lato umano che non si vede molto spesso nei grandi club".

Ha lavorato come talent scout ed è direttore sportivo da qualche anno: c’è un problema nella ricerca e nella costruzione del talento nel calcio italiano?
"Sì, io credo che talenti ce ne siano ma c'è un problema non tecnico ma mentale. Io credo che i nostri giocatori non vengono aiutati a fare il salto di qualità e non hanno molto spazio per potersi mettere in mostra, oltre al fatto che non ti aiuto a maturare prima dandoti una vera chance. Io ho visto le finali Primavera e ci sono giocatori interessanti. Credo che il problema sia in questo doppio passaggio che ho appena detto, basta vedere anche i risultati delle nazionali giovanili e l'evoluzione che fanno questi ragazzi fino ad un certo punto. Dicono sempre che non sono pronti ma io non credo sia davvero così".

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