Fabio Paim era l’amico forte di Cristiano Ronaldo: è finito in prigione rovinato da soldi e feste
Nel bene e nel male, la storia di Fábio Miguel Malheiro Paím è tutta in una frase che nel 2003 pronunciò un Cristiano Ronaldo allora giovanissimo. Aveva 18 anni e quando gli facevano i complimenti in Portogallo per il suo talento diceva: "Credete davvero che io sia bravo? Allora vedete giocare lui e ne riparliamo".
Lui era (ed è) quel ragazzo di 3 anni più giovane e connazionale di CR7 che con la palla tra i piedi sapeva fare magie. Erano amici, condividevano la stessa foresteria dello stadio in cui vivevano. Il calcio era la loro via di fuga, si arrangiavano sperando in un futuro migliore.
La sera andavamo da McDonald's a prendere gli hamburger che non potevano essere venduti. Mangiavamo gli avanzi che andavano buttati.
Nello Sporting li coccolavano, era come aver trovato un'ostrica con dentro una due perle grezze ma di valore. Una, però, sarebbe stata risucchiata da un gorgo improvviso. Nel 2008 si presentò l'occasione della vita e della carriera, la fortuna bussò alla porta di Paím: la aprì e si ritrovò catapultato in una dimensione troppo grande per un ragazzo di 15 anni. Firmò per il Chelsea, in quell'eldorado che può essere la Premier League e l'Inghilterra se ti metti di buzzo buono e dai tutto te stesso in campo.
Se mi fossi impegnato come ha fatto Cristiano Ronaldo, sarei stato più bravo di lui. Dal punto di vista tecnico ero migliore, assomigliavo un po' a Ronaldinho. Forse avrei potuto anche vincere il Pallone d'Oro. Ma la tecnica non basta per avere successo.
Paím era forte e debole allo stesso tempo, un ossimoro che spiega cosa (non) è stata la sua avventura di calciatore. I Blues gli misero in tasca uno stipendio di 57 mila euro al mese, il fascino di Londra fece il resto. Non riuscì mai a sfondare, trovando spazio appena nella squadra delle riserve, e tornò in patria. Gli era sembrato di toccare il cielo con un dito, ma volò troppo in alto e troppo in fretta. Fu uno shock durissimo.
Il rientro in Portogallo ebbe risvolti altrettanto traumatici: iniziò un lungo peregrinare tra un club e l'altro, Paím aveva sempre la valigia sul letto. Pronto ad andar a via per ricominciare altrove, fuggendo da se stesso e da un'accusa di violenza sessuale che lo mise nei guai quando vestiva la maglia dell'Union 05.
Non voglio che nessuno si senta dispiaciuto per me – ha raccontato ai giornali che ne hanno ripreso la storia -. È stata una mia scelta, è stato un mio errore. E l'ho pagato.
Le doti innate che tecnici, compagni di squadra e avversari gli riconoscevano sono state croce e delizia, la sua dannazione dopo aver messo piede in Paradiso. E quando ci ripensa null'altro può fare che prendersela con se stesso, con quel ragazzo che ha avuto tutto e subito ma non spalle abbastanza larghe per gestirsi nel migliore dei modi. Ha ceduto al lato oscuro della forza, alla sensazione che puoi tutto e avere tutto, al fascino del successo facile: gli è arrivato addosso e l'ha travolto.
Purtroppo, sono nato con il talento – è la frase iconica pronunciata a The Sun, il riassunto della vita di Paím, di un sogno che a un certo punto s'è tramutato in incubo – ma m'illudevo, avendo tanti soldi, che in fondo potesse bastare e non dovessi impegnarmi più di tanto. Non avevo la testa giusta… pensavo a divertirmi, alle donne, alle feste, all'alcol.
Nell'agosto 2019 toccò il fondo. L'ex prodigio dello Sporting tornò in auge e destò scalpore, si ricordarono di lui perché finì in carcere. La polizia di Estoril lo arrestò per possesso di droga, da quella brutta storia ne è uscito qualche tempo dopo. Il destino lo mise di fronte allo specchio, quel che vide fu terribile.
Il carcere in cui ero rinchiuso era vicino al campo dove si allenava la nazionale portoghese – ha aggiunto -. Poteva sbirciare da dietro le sbarre. Lo faceva sospirando e ripeteva dentro di sé sempre la stessa cosa.
Ah, Cristiano c'è. Lì dovrei esserci anch'io… La prigione è stata davvero dura e difficile per me e la mia famiglia. La prigione non era un posto per un ragazzo come me.