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Era il nuovo fenomeno del calcio, ora è tutto finito: “Somigli a Freddy Adu”, “No, mi chiamo John”

Freddy Adu è stato uno dei più clamorosi fallimenti nella storia del calcio: dopo aver fatto segnare record di precocità a 14 anni con contratti milionari, l’attaccante oggi di anni ne ha 33 ed è disoccupato. Il racconto di come sia stato possibile bruciarsi così è un mare di rimpianti, fino ad arrivare alla risposta che dà a qualcuno che ancora lo riconosce: “Adu? No, mi chiamo John…”.
A cura di Paolo Fiorenza
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Freddy Adu ha 33 anni e non gioca una partita di calcio a livello professionistico da oltre 4: era il 12 ottobre 2018 quando il ragazzo nato in Ghana e poi stabilitosi negli Stati Uniti scendeva in campo con la maglia dei Las Vegas Lights in un match di seconda divisione contro il Sacramento FC. La partita di Adu durò appena 56 minuti, in quel momento non poteva sapere che stava vivendo qualcosa di molto simile al suo ritiro. Da allora l'attaccante che nel 2004 aveva firmato quattordicenne il suo primo contratto con un club di Major League, il DC United, prendendosi copertine e televisioni e venendo pompato come "il nuovo Pelè", è rimasto disoccupato tre anni, prima di provare a ripartire l'anno scorso con una squadra di terza divisione svedese, l'Osterlen, senza riuscire peraltro a scendere in campo neanche un minuto.

Freddy Adu oggi s 33 anni
Freddy Adu oggi s 33 anni

La parabola di Adu è davvero emblematica di come la gloria e i relativi denari possano essere effimeri quando si fanno scelte sbagliate e non si riesce a reagire di fronte alla avversità – magari aiutati da qualcuno a farlo – o semplicemente quando si è stati sopravvalutati e bisogna reinventarsi in qualche modo per andare avanti. Per Freddy la giostra è stata tanto vorticosa e piena di luci quanto breve: presentato dal commissioner della MLS Don Garber come "il più grande acquisto nella storia della lega" e convocato due anni dopo nella nazionale statunitense, l'adolescente Adu era sulla bocca di tutti gli operatori di mercato e fece anche un provino col Manchester United di Ferguson.

Lo sbarco in Europa a 18 anni fu la naturale conseguenza: il ragazzo firmò col Benfica, ma l'anno dopo cominciò un giro di prestiti che ne decretarono la fase discendente della carriera a neanche 20 anni: Monaco, Belenenses, Aris Salonicco, Caykur Rizespor. Tutte esperienze in cui giocò poco, segnando ancora meno. Quando il contratto col Benfica si concluse, aveva soltanto 22 anni e ormai soltanto un grande passato davanti a sé. Da lì in poi Adu riuscì a spuntare qualche ingaggio in realtà di livello sempre più basso, come il Bahia in Brasile, lo Jagodina in Serbia e il KuPS in Finlandia, prima di tornare negli Stati Uniti e restare senza lavoro negli ultimi anni – complice la pandemia – essendo costretto a proporsi su Instagram per guadagnarsi da vivere come allenatore di sessioni individuali di fondamentali calcistici.

Adu nel 2012, la sua carriera già aveva il meglio alle spalle
Adu nel 2012, la sua carriera già aveva il meglio alle spalle

"Tecnicamente non mi sono ancora ritirato – spiega con orgoglio a Sportbible – Mi sono preso qualche anno di pausa dopo aver perso il mio amore per il gioco. Che ci crediate o no, sto pensando di tornare a giocare. Sono ancora abbastanza giovane". Dopo aver giocato per 15 club in 9 Paesi diversi durante un periodo di 17 anni, Adu è tornato a casa nel Maryland, il luogo in cui è cresciuto: "Ora mi prendo cura della mia famiglia. Mia madre è stata operata quest'anno, mi sono preso cura di lei". Del resto Freddy deve tutto a mamma Emelia. Ogni anno gli Stati Uniti concedono circa 50mila visti di residenza permanente e nel 1997 – grazie ad aver vinto la lotteria per la Green Card – la famiglia Adu è potuta emigrare dal Ghana nella città di Rockville, nel Maryland. Emelia avrebbe svolto due lavori a tempo pieno per sostenere la sua famiglia. Si svegliava alle 5 del mattino, faceva un turno di 8 ore al McDonald's prima di lavorare altre 8 ore la sera in un edificio per uffici. Nel mentre il giovanissimo Freddy si faceva conoscere nella squadra locale dei Potomac Cougars, lasciando tutti sbalorditi per le sue capacità.

Quello fu l'inizio di tutto, con un vortice di eventi che ben presto travolse il ragazzo e la sua famiglia: all'età di 13 anni Adu firmò un contratto di sponsorizzazione da un milione di dollari con la Nike e otto mesi dopo divenne il giocatore più pagato della MaJor League quando firmò col DC United. Per capire il livello di pressioni su di lui, basti pensare che Phil Knight, il presidente della Nike, affermò che Freddy aveva un potenziale commerciale maggiore di Michael Jordan, LeBron James e Tiger Woods. Stiamo parlando di un ragazzo di 14 anni: era qualcosa di insostenibile, considerando anche quanto l'intera sua famiglia non fosse preparata a tutto ciò. "Immagino di essere stato solo ingenuo allora – racconta oggi Freddy – Ma ero così felice di essere un professionista a quell'età, mi stavo divertendo. Era tutta euforia: ce l'avevo fatta a 14 anni. Mi prendevo cura della mia famiglia, stavo realizzando il mio sogno. Ecco di cosa si trattava davvero. Le persone diranno quello che diranno. A volte gli altri mettono aspettative irrealistiche su di te, ma non avevo il controllo su questo. Tutto quello che potevo controllare era solo cercare di raggiungere i miei obiettivi".

Tutto il battage pubblicitario, gli obblighi di sponsor e con la lega – ovunque andasse – hanno finito per impattare fortemente sul suo sviluppo come giocatore, in un'età in cui sarebbe stato fondamentale completarlo. In ogni città dove andava c'erano ad attenderlo teleconferenze, interviste e lunghi incontri con i tifosi. Per Adu è stato estenuante: "Essere il giocatore più pagato del campionato a 14 anni e avere quel contratto con la Nike comporta molte responsabilità, perché dovevo fare tutti quegli incontri e saluti. Allora non ci pensavo ma ora, quando ci penso… riuscite a immaginare un quattordicenne che arriva e deve fare tutto questo? È stata dura. Non è servito, mettiamola così. Era solo un sacco di distrazione. E poi ero così giovane che non avevo molto in comune con la maggior parte dei ragazzi della squadra, perché molti di loro avevano figli, mogli e cose del genere".

Adu con la maglia del Benfica: un innamoramento che durò poco
Adu con la maglia del Benfica: un innamoramento che durò poco

La sliding door che ha segnato il punto di svolta senza più ritorno nella carriera di Adu è stato l'agognato sbarco nel calcio europeo col Benfica, che si era convinto dopo averlo visto con la maglia degli Stati Uniti alla Coppa del Mondo Under 20 del 2007. Sembrava il grande passo tanto atteso, fu l'inizio della fine. Dopo qualche mese arrivò il più grande rimpianto di Freddy, il passaggio in prestito ai francesi del Monaco: "Pensavo che sarebbe stato meglio andare a giocare in una squadra diversa per avere più stabilità, ma si è rivelata la decisione sbagliata. È il mio più grande rimpianto. Non ero abbastanza maturo per gestire tutte le distrazioni in quel momento a Monaco. Ed a cascata il mio gioco ne ha risentito. Quello è stato fondamentalmente l'inizio della fase in cui sono dovuto andare in prestito in squadre diverse perché non stavo giocando abbastanza bene. Non incolpo nessuno. Incolpo me stesso perché ho preso quella decisione. L'ho fatto. Nessuno mi ha costretto a farlo. Sono stato io a decidere di trasferirmi".

Il destino volle che il fresco campione del mondo – e quasi coetaneo di Adu – Angel Di Maria approdasse al Benfica nello stesso anno dello statunitense. La sua parabola da quel momento sarebbe stata esattamente opposta rispetto a quella di Freddy: "La cosa pazzesca è che durante il mio primo anno a Lisbona ho giocato meglio di Di Maria. Sono sceso di più in campo, ho segnato di più. Ho fatto una stagione migliore, ma lui è rimasto e io sono andato in prestito. Poi è diventato titolare e da lì è decollata la sua carriera. Io sono andato al Monaco, non ho giocato e da lì sono andato in prestito al Belenenses. Mi ha fatto molto male". Se Adu potesse tornare indietro e cambiare qualcosa del suo percorso, non sarebbe diventare professionista a 14 anni o accettare i pesanti obblighi contrattuali con la Nike e la Major League Soccer, ma restare impantanato in quei prestiti durante gli anni di contratto col Benfica.

Esperienze che gli hanno tolto la passione per il gioco che una volta adorava. Ora Freddy ammette che in quel momento l'interesse del pubblico per il suo marchio e tutto ciò che ne derivava era prioritario rispetto al suo talento. Aveva poco più di 20 anni: "Tutte quelle squadre in cui sono andato… la maggior parte erano solo per fare spettacolo, sarò onesto. Sentivo che la maggior parte erano solo cose tipo: ‘Ehi, portiamo Freddy in modo che possiamo ottenere un po' di pubblicità e cercare di attirare l'attenzione sulla nostra squadra'. Non hanno mai avuto alcuna intenzione che io restassi lì a lungo termine. Sfortunatamente l'ho capito troppo tardi. È stato allora che ho perso l'amore per il gioco".

Oggi Adu culla il sogno di tornare a rimettersi gli scarpini ai piedi: provare a trasmettere qualcosa ai ragazzi che si sono affidati a lui negli ultimi anni e vederli così felici gli ha riportato la gioia per il gioco. Tuttavia è da molto che non si allena, la strada per un rientro a 33 anni sembra davvero in salita: "Devi avere la mente giusta ed essere determinato a farlo, ma se qualcuno può farlo, io posso". Voltandosi indietro non si assolve del tutto per il suo fallimento, ma ne condivide le responsabilità con altri: "Alcune delle decisioni della mia carriera non erano interamente mie. C'erano persone che mi consigliavano o dicevano: ‘Devi fare questo e devi fare quello'. Non hanno sempre avuto ragione. Non sto incolpando nessuno in particolare, tutto quello che so è che ci sono alcune decisioni che ho preso che non erano le migliori e poi mi hanno presentato il conto".

Adu 19enne con la maglia della nazionale degli Stati Uniti: ha ispirato una generazione di giovani calciatori
Adu 19enne con la maglia della nazionale degli Stati Uniti: ha ispirato una generazione di giovani calciatori

Freddy d'altra parte non cambierebbe niente del suo straordinario lancio nel firmamento del calcio: "Molte persone dicono: ‘Se avessi di nuovo l'opportunità, diventeresti ancora professionista a 14 anni?' Io rispondo che ovviamente lo rifarei. Eravamo poveri. Hai la possibilità di diventare professionista a 14 anni e di essere pagato milioni di dollari. Cosa dirai? No? Questa è sicuramente una delle cose che non cambierei". Adu prova a rimettere le cose in quella che per lui è la giusta prospettiva: "Alcune persone diranno che non sono stato all'altezza del mio potenziale. Ma mi chiedo in base a quali standard? Avevo i miei standard, il mio sogno. se sono deluso dal fatto di non essere all'altezza dei miei standard, va bene. Ma non sto cercando di essere all'altezza degli standard di nessun altro in questo momento. Li capisco, ma per me il solo fatto di essere stato in grado di far parte della storia del calcio in questo Paese e contribuire a elevare lo sport è incredibile. Ne sarò sempre orgoglioso".

In un mondo come quello americano in cui il calcio è sempre stato visto come il fratello sfigato dei vari baseball, football e basket, Adu quasi 20 anni fa ha tracciato potentemente una strada, svolgendo un ruolo fondamentale nel portare attenzione sulla Major League Soccer. Il giovane Freddy ha ispirato una generazione a seguirne le orme: "Questa è l'unica cosa di cui sono estremamente orgoglioso. Ancora oggi vado in qualche posto e persone che non seguono nemmeno più il calcio dicono: ‘Ehi, assomigli a Freddy Adu, amico!'. E io me ne sto seduto lì e rispondo: ‘Sì, mi chiamo John…'. Mi piace scherzare con loro. Le persone che non conoscono molto di calcio sanno ancora chi sono perché quella è stata la loro introduzione allo sport. Sono davvero molto orgoglioso di questo". Alla fine è esattamente così: quel ragazzo paragonato a Pelè ha fatto epoca, nessuno potrà mai cancellarlo.

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