“È troppo magro, non è pronto”. E ora Jorginho vuole gli Europei dopo la Champions
Mandorlini lo avrebbe spedito in Serie C perché, diceva, quel ragazzo era troppo gracile per resistere agli urti della vita e degli avversari. Meglio mandarlo a farsi le ossa altrove. La storia di Jorginho comincia da lì, dallo scetticismo del tecnico che allora era sulla panchina del Verona e non aveva capito cosa avesse tra le mani. "L'allenatore non mi voleva – ha spiegato in un'intervista al tabloid The Telegraph – e i diedero sei mesi di tempo per convincere l'ambiente a tenermi".
A guardare con gli occhi di oggi il passato vien da sorridere pensando al calciatore che ha scalato le gerarchie nelle squadre, in campionato e in Nazionale semplicemente essendo se stesso. Veloce di pensiero, abile nel palleggio e – come si dice in gergo – ‘con gli occhi anche dietro la testa', abbastanza per spiegare le sue qualità. Nel cuore della mediana ci sta con ingegno, senso della posizione, capacità di dettare il ritmo, tracciare traiettorie che diventano ragnatele oppure affondi come lampi.
A Napoli arrivò con Benitez, Sarri lo ha trasformato nel fulcro del suo gioco. Il resto lo ha fatto quel giovanotto che in testa ha sentito ronzare a lungo la solita frase: "È troppo magro, non è pronto". La pensava così (anche) Mandorlini. Gli era così difficile inquadrare il ruolo di Jorginho da schierarlo in tutte le posizioni. "Mi ha fatto giocare da terzino destro, centrale, ovunque… Non andavo nemmeno in panchina. Sono stato lasciato in tribuna ogni partita".
Voleva andar via poi contro il Bari accadde qualcosa che sorprese tutti e cambiò il verso della storia. "Un nostro giocatore si fa male nel primo tempo. Mandorlini mi guarda in panchina, mi inserisce in campo quasi per disperazione. Vinciamo 1-0 in trasferta. La settimana dopo ho iniziato da titolare contro l’Empoli, ho segnato un gol e fatto un assist. E quella è stata la gara della svolta".
Fiducia in se stesso e tanta tenacia. Se chiedete a Jorginho come ce l'ha fatta vi risponderà così. Negli occhi stralunati, luminosi, increduli per la vittoria della Champions potevi leggere il film della sua vita: il ragazzo venuto dal nulla che ce l'ha fatta con le sue forze. "Non ho mai dubitato delle mie qualità perché sapevo quanto lavoravo duramente – ha aggiunto Jorginho -. Corro circa 12 chilometri a partita. Da sempre".