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Domenico Volpati, dallo Scudetto col Verona al vaccino: “Combatto il Covid con buona volontà”

Domenico Volpati era un membro della squadra di Osvaldo Bagnoli e ha contribuito alla vittoria dello storico Scudetto dell’Hellas Verona. A Fanpage.it l’ex calciatore ha parlato di quella straordinaria vittoria della squadra scaligera e del suo impegno nella campagna vaccinale contro il Covid-19 nonostante sia già in pensione da due anni.
A cura di Vito Lamorte
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Volpati: si è sposato ieri (auguri) e si laureerà domani (maana) in Medicina: intanto gioca con spietato pragmatismo annichilendo l' avversario marcato da lui e valorizzando il gioco di Di Gennaro, cui si offre per il passaggio sicuro (in quanto è bene smarcato). Secondo Bagnoli durerà ancora due anni. Ne ha trentaquattro.

(Gianni Brera, La Repubblica – 14 maggio 1985)

Il 12 maggio non sarà mai un giorno come gli altri per la città di Verona, per l’Hellas Verona e il calcio italiano: lo Scudetto vinto dalla squadra di Osvaldo Bagnoli grazie al pareggio in casa dell’Atalanta è un pezzo di storia che non potrà mai essere dimenticato e a distanza di 36 anni quel pomeriggio di Bergamo è ancora ben impresso nella memoria di chi ha vissuto in prima persona quella straordinaria impresa. Domenico Volpati era uno dei perni della squadra scaligera che centrò quello storico successo e dopo tanti anni ricorda quella stagione, e non solo, con la stessa commozione e la stessa lucidità di quando in campo lavorava per i compagni nella zona centrale del campo.

L’ex centrocampista nato a Novara, che ha vestito anche le maglie di Torino, Brescia, Como e Mantova; a Fanpage.it ha raccontato quella fantastica stagione all’ombra dell’Arena e la sua carriera, divisa tra campo e università. Dopo aver concluso il suo percorso calcistico Volpati si è laureato in medicina e, dopo essersi specializzato, ha svolto l'attività di dentista fino al 2019. Nei mesi scorsi Volpati, nonostante fosse già in pensione, si è messo a disposizione della sua comunità contribuendo alla campagna vaccinale presso il centro vaccinale sul Lago di Tesero, nel cuore della Val di Fiemme in Trentino, e proprio come faceva con gli avversari in campo lotta in prima persona contro la pandemia Covid-19.

Oggi ricorre un anniversario importante per Verona e per tutto il calcio italiano: come ricorda il giorno dello Scudetto dell’Hellas?
"Sono ricordi sempre molto vivi, che mi uniscono alle persone con cui ho vissuto quelle battaglie. Nel Verona si formò uno spirito di gruppo, un senso di appartenenza, che ci aiutò a gestire tutti i momenti, anche difficili, che si verificano negli spogliatoi. Il limite è che ricordiamo solo quell’anno lì ma quel gruppo si era formato già prima e aveva raggiunto anche altri risultati, chiaramente non importanti come lo Scudetto. Lo zoccolo duro era già stato creato prima e poi sono arrivati i due stranieri che si sono messi a disposizione senza sentirsi superiori a nessuno, calandosi nell’ambiente in maniera incredibile. Eravamo una grande squadra".

Quando pensa a quella stagione quali sono i momenti che le vengono in mente per primi?
"La formazione di quel gruppo, che risale al 1982-1983, fu fondamentale perché noi arrivammo a febbraio a giocarcela con la Roma di Nils Liedholm  ma loro erano molto più strutturati per vincere. Quell’anno arrivammo quarti e giocammo la finale di Coppa Italia ma lo spirito di unione tra noi era già evidente e c’è un episodio della stagione dello Scudetto che mi piace sempre ricordare. A Capodanno fui incaricato di organizzare il veglione e alla festa in Val di Fiemme partecipò più di mezza squadra. Non proprio una cosa abituale. E durante i festeggiamenti Fanno disse: ‘Ragazzi, questo è il nostro anno’. La verità è che quell’anno partimmo primi e arrivammo primi e ci meritammo quel titolo in tutto e per tutto. In Italia in quegli anni giocavano tutti i più forti e nel 1982 l’Italia vinse il campionato del mondo. Noi non abbiamo sfruttato un momento di debolezza del movimento ma ci prendemmo il nostro spazio e dimostrammo di essere più forti".

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L’impressione era di un gruppo di lavoro davvero fantastico agli ordini di Bagnoli: vi sentite ancora, siete in contatto?
"La pandemia ha tagliato un po’ di incontri che solitamente avvengono a Verona o nelle vicinanze. Ogni volta che qualcuno viene in Italia si cerca sempre di organizzare qualcosa perché c’è un rapporto ancora vivo e si cerca di mantenere lo stesso spirito che avevamo allora. Adesso è un po’ più difficile ma ci rincontreremo appena si potrà".

Alla fine della sua carriera in campo ha esercitato come dentista: ci racconta come ha conciliato l’università e il calcio?
"Io ho avuto sempre presente il fatto che il mio periodo nel calcio prima o poi doveva finire ed è una cosa che dico spesso anche ai giocatori di oggi quando li incontro. Non è per far crollare il loro entusiasmo ma per renderli partecipi della realtà e farli uscire dal loro mondo parallelo. Mi sono iscritto a Pavia alla facoltà di Medicina dopo aver terminato il liceo e i primi anni riuscii a dare tutti gli esami perché giocavo nella Solbiatese. Poi quando sono andato in Serie B ne davo solo uno all’anno per i tanti impegni ma sarebbe stato un peccato mollare perché ero a buon punto, così ho rinnovato l'iscrizione anno dopo anno e quando potevo andavo a dare gli esami. A volte sono stato bocciato e altre volte sono riuscito a superare le prove. L’anno che sono andato a Verona tra Scudetto e matrimonio non sono riuscito a fare nulla ma alla fine della mia carriera mi mancava un esame del quinto e quelli del sesto. In un anno e mezzo ho messo a posto le cose e ho fatto l’esame di stato. In quel momento ho scelto di fare il dentista e dopo due anni di specializzazione ho imparato la professione. Sono andato avanti fino a 68 anni e ho rinnovato l’iscrizione all’albo dei medici anche dopo".

Lei si è messo a disposizione per effettuare le vaccinazioni anti-Covid nonostante fosse già in pensione: quando ha pensato di contribuire a questo campagna storica?
"Entrando in contatto con alcuni amici medici ho fatto presente questa ipotesi, nel caso vi fossero stati problemi per la campagna vaccinale, e dopo aver messo a posto tutta la pratica sono entrato nella squadra dei medici che somministrano il vaccino contro il Covid-19".

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Come procede la situazione dalle sue parti? Quali sono le sue impressioni sull’organizzazione?
"In base ai dati mi sembra che il Trentino stia rispondendo bene. Troviamo le resistenze di alcuni che per motivi ideologici, per paura o per vigliaccheria rifiutano il vaccino ma intanto facciamo le persone di buone volontà e il resto lo vedremo poi".

Segue sempre il calcio? Come le sembra questa Serie A che sta per concludersi?
"Sì, seguo sempre ma ora non mi entusiasma granché. Non ci sono partite che mi fanno divertire molto come qualche tempo fa ma mi piace molto l’Atalanta e qualcuna dell’Inter non mi è dispiaciuta. Quelle tra PSG e Bayern sono state uno spettacolo e mi hanno riconciliato con il calcio. Non sopporto molto questo fraseggio difensivo, questi continui appoggi laterali e questo ritmo sempre piuttosto basso. A me piace un calcio più verticale, che valorizza le ripartenze e la velocità. È vero che sono cambiate tante regole ma in alcuni casi non ho capito se si è cambiato in bene o in male. Io credo che la gente si divertiva anche ai miei tempi e bastava guardare solo la presenza della gente negli stadi per capire l’attaccamento a questo sport. Il calcio televisivo c’è un po’ dappertutto ma se in altri paesi la partecipazione dei tifosi è sempre numerosa qui da noi alcune cose non hanno funzionato".

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