Diritto di recompra nel calcio: cos’è e come cambia la norma in Italia
Il calcio italiano, negli ultimi anni, ha preso in prestito parecchi termini ispanici. Sul campo, l'influenza del tiki taka ha portato all'introduzione di locuzioni quali "falso nueve" e al festeggiamento dei cosiddetti "triplete". Fuori dal terreno di gioco, invece, la Spagna ha prestato al calcio italiano la "recompra", che nella nostra lingua può essere inteso come riacquisto. Uno strumento che ha accompagnato negli ultimi anni la bolla delle plsuvalenze, per mezzo di operazioni di mercato che prevedono la facoltà di riacquistare, per l'appunto, un calciatore inizialmente ceduto.
Quando e dove nasce: il significato di recompra
Il termine "recompra" è spagnolo come la legge che per prima ha disciplinato questo strumento. L'articolo 1507 del Código Civil fa riferimento al "retracto convencional", ovvero un patto di restituzione, che ha luogo "quando il venditore si riserva il diritto di recuperare ciò che ha venduto" previo ulteriore pagamento. Il calcio, in Spagna, ha fatto propria questa norma introducendo il diritto di "recompra" nelle operazioni di calciomercato, utilizzato spesso dai principali club della Liga per monetizzare dalla cessione dei loro giovani, assicurandosi la possibilità di riportarli alla base. È un concetto molto simile a quello del prestito con diritto di riscatto e contro-riscatto, ma con una differenza: la cessione a titolo definitivo garantisce un ricavo superiore (e trattandosi spesso di giocatori cresciuti nel settore giovanile, anche una plusvalenza piena), da inserire immediatamente nel conto economico, cosa che il prestito con riscatto non prevede. Allo stesso modo, il club che acquista un calciatore accettando una clausola di "recompra" a favore del cedente ha la possibilità di generare una plusvalenza rivendendo il giocatore al club di origine. Real Madrid e Barcellona sono state le società che più di tutte hanno usufruito di questa norma, con le "merengues" che hanno pure riportato a casa due elementi del calibro di Carvajal e Casemiro con questa soluzione, riscattandoli rispettivamente da Bayer Leverkusen e Porto.
Un altro giocatore tornato al Real Madrid tramite "recompra" è il centravanti Morata, il primo caso di riacquisto del cartellino con protagonista un club italiano. Il 19 luglio 2014 la Juventus ha comunicato di aver raggiunto l'accordo per Morata "a fronte di un corrispettivo di 20 milioni di euro", ma nell'accordo è previsto anche "un diritto di opzione per il Real Madrid", da esercitare entro il termine della stagione 2015/16 o 2016/17, "per il riacquisto a titolo definitivo", fino a un massimo di 30 milioni di euro. Il 21 giugno 2016, il Real Madrid fa valere la clausola e riporta Morata nella capitale spagnola per 30 milioni di euro. Con questa operazione, di fatto, viene sdoganata la "recompra" anche in Italia, dove prima di allora non erano previsti accordi preventivi sul riscatto di giocatori ceduti a titolo definitivo. Anche perché, fino a poche settimane prima dell'approdo del centravanti spagnolo alla Juventus, il calcio italiano adottava un altro sistema per regolare i rapporti tra due società detentrici di diritti sul cartellino dello stesso giocatore.
Dalle comproprietà alla recompra in Italia
Il 2014, l'anno in cui l'Italia conosce la "recompra" per la prima volta, è anche l'anno in cui vengono abolite le compartecipazioni, meglio note come comproprietà. La Serie A le utilizza di fatto dagli anni '70, ovvero da quando la Juventus cedette il ventenne Paolo Rossi al Vicenza con questa formula, e si tratta di una semplice suddivisione al 50% dei diritti economici (mantenendo però i diritti sportivi ad un solo club). Nel 1978, il destino del futuro "Pablito", non ancora eroe del terzo Mondiale vinto dagli Azzurri, venne deciso dalle famigerate buste: quando le due società non trovavano un accordo per il riscatto dell'intero cartellino, dopo due anni dall'inizio della compartecipazione si arrivava ad una vera e propria asta tra le due contendenti. Chi metteva sul piatto l'offerta più alta, portava a casa il giocatore. E in quel caso, l'offerta più alta fu del Vicenza: 2,6 miliardi di lire contro gli 875 milioni dei bianconeri, che ritroveranno Rossi qualche anno più tardi, a seguito della retrocessione del Vicenza in B.
Negli anni '80, nonostante l'abolizione, le comproprietà rimasero comunque una prassi comune, al punto da entrare nell'immaginario collettivo con una citazione d'autore: «Ma lo sa che noi attraverso le cessioni di Falchetti e Mengoni riusciamo ad avere la metà di Giordano? Da girare all'Udinese per un quarto di Zico e tre quarti di Edinho». Parola del commendator Borlotti, il presidente della Longobarda allenata da Oronzo Canà, che nel 1984 spiattellò al cinema e su tutti gli schermi televisivi una pratica che andava avanti sotto silenzio. Negli anni '90 le compartecipazioni furono nuovamente introdotte nei regolamenti federali e il loro effetto sui conti dei club italiani non tardò ad arrivare. La comproprietà, nella maggior parte dei casi, non era altro che una cessione definitiva dilatata nel tempo. In questo modo, l'acquirente metteva a bilancio la metà dell'importo previsto per il 100% del cartellino e, dopo due anni, aggiungeva l'altra metà. Il cedente, invece, si liberava degli oneri salariali e fiscali, pur essendo formalmente detentore della metà dei diritti economici.
Quali norme disciplinano la recompra nel calcio italiano
Un rebus che ha spinto la Figc ad abolire le multiproprietà nel 2014, anno in cui la "recompra" è sbarcata in Serie A. Per normare questo strumento, però, si è dovuto attendere quattro anni. È nel 2018, con l'introduzione del comma 4 dell'articolo 102 delle Noif, che la Figc riconosce il diritto "a favore della società cedente al fine di attribuire a quest'ultima la facoltà di riacquisire a titolo definitivo il diritto alle prestazioni sportive del calciatore trasferito". Una formula adottata in Italia con particolare interesse dalla Juventus, che ha ceduto con questa clausola Mandragora all'Udinese (per 20 milioni con opzione da 26 milioni). In questo modo, il club bianconero ha generato una plusvalenza da 14,7 milioni, ma la scadenza della "recompra" è fissata per il termine di questa stagione e il giovane centrocampista, fermo ai box per la rottura del crociato potrebbe non fare rientro alla base. Casi simili si sono verificati anche all'Inter, con Radu ceduto in prestito al Genoa con obbligo di riscatto e controriscatto a favore dei nerazzurri, esercitato nel 2012 con il rientro del portiere a Milano in cambio di 12 milioni di euro (a fronte di un primo riscatto da parte del Genoa fissato a 8 milioni). Idem per la Roma, che ha posto una clausola da 13 milioni sul cartellino di Tumminello dopo averlo ceduto all'Atalanta per 5 milioni.
Il timore della Figc per un abuso della recompra
La "recompra", però, proprio come le compartecipazioni fino a qualche anno prima, non piace ai vertici federali. Il presidente della Figc Gabriele Gravina si è pubblicamente espresso a favore di un'eliminazione di questa opzione, per sgonfiare la bolla delle plusvalenze generate con questo genere di operazioni. Nel 2019, per effetto del comunicato ufficiale 98/A della Figc, il comma delle Noif che regola il diritto di riacquisto è stato modificato, prevedendo la modifica dei termini per l'esercizio o l'abbandono del diritto di opzione e, contestualmente, l'eliminazione della facoltà di poter cedere il contratto del calciatore ad una terza società da parte del club che ha ceduto il cartellino. In questo modo l'esercizio o la rinuncia della "recompra" può scattare solo nel primo giorno di campagna acquisti della seconda stagione in cui è intercorso il trasferimento, con una limitazione degli effetti fiscali di tale strumento. Le plusvalenze (o minusvalenze) generate con queste operazioni, infatti, potranno essere contabilizzate solo al momento dell'esercizio o della rinuncia dell'opzione di riacquisto. Così facendo, la plusvalenza verrà iscritta a bilancio solamente quando si concretizza. Una soluzione che non ha comunque frenato il boom degli ultimi anni.