Dietro il ritiro di Tevez c’è un grande dolore: “Ero morto dentro, ho passato un brutto periodo”
Carlitos Tevez ha giocato la sua ultima partita il 31 maggio di un anno fa. Da allora, svincolatosi dal Boca Juniors, ha ricevuto offerte dall'America per continuare a giocare ma ha detto sempre no. E quando gli chiedono se abbia intenzione di calzare di nuovo le scarpette e indossare i panni dell'apache dà una risposta molto netta: "Adesso sono in pensione". A 38 anni, dopo aver vinto in Premier League, in Serie A e in Champions, considera finita la carriera di giocatore ma non ha intenzione di abbandonare il mondo del calcio. Continuerà a starci dentro, è passione e ragione di vita. Ma in un'altra veste: da allenatore.
Questione di fuoco sacro che s'è spento e di una sofferenza intima molto dolorosa. Dietro la scelta dell'attaccante di ritirarsi c'è una vicenda umana struggente. Ne parla con Alejandro Fantino di America e spiega qual è il tormento interiore che ancora lo assale perché certe cose non puoi dimenticarle, faranno parte di te sempre. Suo padre, don Secondo, è morto a 58 anni a febbraio 2021, era "il suo tifoso numero uno". Senza di lui giocare al calcio non è stata più la stessa cosa. Quel lutto gli ha lasciato un vuoto incolmabile e, più ancora, gli ha prosciugato l'anima. Che senso ha continuare senza di lui? Perché andare avanti e trascinarsi per qualche anno quando ormai sai che è finita e niente sarà come prima? Carlitos in cuor suo sapeva già la risposta. E ha fatto la cosa giusta per sé.
"Mio padre non ha mai smesso di lavorare – dice Tevez con gli occhi lucidi -. Faceva il muratore, si alzava ogni mattina alle 6 e tornava a casa alle 7 di sera. Mi è sempre stato vicino, mi diceva di allenarmi sodo, di sacrificarmi, di non fare tardi. E quando non riuscivo ad alzarmi perché mi ero ritirato a notte fonda dopo essere andato a ballare mi tirava giù dal letto".
L'ultimo anno da calciatore è stato il più difficile di tutti. Era come trovarsi in un incubo, di quelli che addosso ti lasciano ansia e tolgono il fiato. Poi un giorno Tevez ha aperto gli occhi. "Mi sono svegliato e ho detto: ora basta, non gioco più. Il giorno del mio ultimo compleanno ho spiegato alla mia famiglia perché mi ero fermato. A tutti dissi: Ho smesso di giocare perché ho perso il mio tifoso numero uno". La sua vita è cambiata radicalmente: quel calciatore che si alzava presto per andare agli allenamenti non c'è più. "Non ho più la forza per farlo – ha aggiunto -. Mangio empanadas e bevo vino… quello che voglio. Ora ho tre o quattro chili in più. Mi alzo un po' tardi. Non riesco a immaginare di tornare ad allenarmi e correre. Ma voglio restare nel calcio da allenatore".