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Diego Armando Maradona morto a 60 anni

Diego Maradona jr a Fanpage: “Ho un’idea sulla morte di papà, trovate tante firme false”

A un anno di distanza dalla morte di Diego Armando Maradona, il ricordo e il racconto del figlio Diego junior, che non smette di cercare la verità: “Curato bene non sarebbe morto”.
A cura di Sergio Chesi
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Diego junior sbuca dagli spogliatoi dello stadio Vallefuoco di Mugnano, la casa del suo Napoli United. "Stavo bevendo il mate con i ragazzi". È la sua anima argentina che viene fuori in continuazione. Anche durante l'allenamento, quando alterna con estrema naturalezza italiano, napoletano e spagnolo. La sintesi della sua vita e delle sue origini, che si intrecciano con quelle del calciatore più forte della storia. È trascorso un anno dalla morte di Diego Armando Maradona. Per Dieguito è scivolato via su due binari distinti: da un lato la ricerca dei tasselli che mancano per completare il quadro di una vicenda con tante e troppe zone d'ombra; dall'altro il calore dei ricordi, dei momenti sognati e condivisi, di quella presenza che continua a essere presente e persistente. Maradona vive ogni giorno nella misura in cui le leggende non hanno tempo. In ogni angolo del pianeta. E per Diego junior un po' di più, come spiega a Fanpage.it: "Alla fine era il mio papà".

Diego, tu sei un Maradona ma prima ancora sei stato un maradoniano. Quanto è stato difficile per tuo padre essere ciò che è stato?
"Sicuramente facile non è stato. Lui non poteva far nulla. Da quando aveva 16 anni non si è potuto andare a bere un caffè tranquillo. Secondo me non è stato bello per lui essere Maradona. Non ha avuto la libertà che avrebbe desiderato. Ma era il prezzo da pagare, immagino".

E tu invece come hai gestito il peso di quel nome nelle varie fasi della tua vita?
"Per me è stato sempre uguale, non è mai stato un grosso problema. L'ho vissuto come estrema normalità. Io sono nato con questo cognome. A volte me ne dimentico, me lo ricordano le persone".

L’ultima immagine in pubblico di tuo padre è sul campo del Gimnasia nel giorno dei suoi 60 anni.
"Maledetto chi ce lo ha portato".

Vederlo quel giorno mise un po' di apprensione in effetti.
"Le condizioni di papà erano complicate. Era un paziente con una storia clinica difficile. La preoccupazione c'era sempre e quel giorno mi preoccupai, sì. Per me non c'era motivo di mostrarlo così, non avrebbero dovuto farlo uscire di casa".

Quando vi siete sentiti l’ultima volta?
"Il giorno dopo l'operazione alla testa. Lui stava bene, rideva, scherzava. Era un po' stonato, ma era normale. Poi mi sono ammalato di Covid e non sono più riuscito a parlargli".

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Spesso hai parlato di “punti oscuri” riguardo a cosa c’è stato dopo l’operazione.
"Per quanto potevamo essere d'accordo o meno, io le mie sorelle non siamo medici. E le scelte mediche non le abbiamo mai prese noi. Oggi c'è una magistratura che sta indagando su questo. Abbiamo già trovato firme false di papà su tante cartelle cliniche e su questo si sta indagando. Noi non abbiamo mai deciso nulla dal punto di vista medico. L'equipe è stata scelta da Morla (avvocato del Pibe, ndr)".

Tu e le tue sorelle come avete vissuto quelle ultime settimane?
"Io non potevo esserci. Ero in un letto di ospedale quasi morto, in sostanza. Gli altri che erano in Argentina ci sono stati quando potevano. Non dimentichiamo che ognuno ha la sua vita. Giannina ha un figlio, Dalma idem, Jana va all’università. Hanno provato a stare là, ma papà aveva intorno sempre la stessa gente".

Ti fidavi di quelle persone?
"Non mi sono mai fidato. Ma se devo dirti di aver visto con i miei occhi qualcosa di strano, non è mai successo. Si è detto fumasse marijuana: davanti a me mai, eppure sono stato tanto tempo con lui, lo mettevo a dormire. Ma dalle indagini è uscito che fosse vero. Forse è un’abitudine iniziata dopo la mia partenza. Cose gravi non le ho mai viste. Qualche schifezza sì e gliel’ho detto. Ma non decidevo io".

Com’era il vostro rapporto?
"Molto diretto. Ma quando eravamo da soli, non amavo parlare davanti agli altri. Magari vedevo e lasciavo passare, poi glielo dicevo".

E lui?
"Beh, non era una persona facile. Non è che gli dicevi una cosa e lui rispondeva ‘ok, va bene’. A volte replicava a tono, altre lasciava passare. Dipendeva dai momenti. Ma con me non si è mai alterato. Quando non voleva farsi dire una cosa, mi faceva capire che era meglio chiudere il discorso".

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In Argentina spesso si è detto “l’hanno ucciso”. Quanto si avvicina al tuo pensiero?
"Noi siamo parte lesa in un processo e non mi posso sostituire. Ma ho un’idea: curato bene non sarebbe morto. Questo è poco ma sicuro. Le responsabilità poi le individuerà la magistratura, ma curato bene non sarebbe morto".

Qual è il tuo ultimo ricordo davvero felice con lui?
"L’ultima volta che sono stato in Argentina, novembre di due anni fa. Lui stava abbastanza bene. Ci siamo divertiti, siamo stati bene. Con mio padre ho passato bei momenti. Con i nipoti era meraviglioso, nonostante fosse un uomo che non aveva una gestione normale delle proprie relazioni".

In che senso?
"Passavano giorni e giorni in cui non rispondeva al telefono, a nessuno. E poi magari in una settimana ti chiamava tre volte. Lui era imprevedibile anche nelle relazioni. Ma i bambini voleva vederli sempre: ‘Mandami le foto, Diego somiglia a tua moglie, India somiglia a noi, è una Maradona'".

Attorno a lui hanno sempre gravitato tante persone. Hai detto “è stato troppo buono”.
"Sì, con alcuni è stato estremamente buono. Purtroppo viviamo in un mondo in cui la gente se ne approfitta. E di lui se ne sono approfittati in troppi".

A proposito: vuoi chiarire cosa è successo con le maglie celebrative del Napoli?
"Io vado al San Paolo, oggi Maradona, da quando avevo 4 anni, mano nella mano con mio nonno. Il fatto che qualcuno abbia sostenuto che io volessi fare causa al Napoli mi ha fatto impazzire. Non farei mai una cosa del genere. Io sono un tifoso del Napoli, vado allo stadio e pago il biglietto. Mi dà fastidio che l’immagine di mio padre sia stata venduta da una persona che non ha l’autorizzazione per farlo. Non metto in dubbio che Stefano Ceci sia stato un amico di papà, ma non c’entra più niente con lui".

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Maradona è sempre stato di tutti, del popolo. Hai mai sofferto il fatto di condividerlo con tante altre persone?
"Tutti noi dei nostri genitori siamo sempre un po’ gelosi. Io sono geloso di mia mamma, dei miei nonni. E lo ero anche di papà, ovviamente. Però mi fa piacere condividerlo con gli altri. Nel momento del dolore il grande amore della gente mi ha aiutato. Vedere così tanto affetto mi ha riempito il cuore d’orgoglio. Alla fine era il mio papà. Era anche Maradona, ovviamente. A volte lo guardavo e pensavo ‘Questo è quello che ha tirato quella punizione con la Juve…’".

Diego Matias sarà il prossimo Diego Maradona. Quanto ti aspetti che sarà difficile?
"Mi auguro che i miei figli siano felici e convinti delle scelte che faranno, come lo sono stato io. Ho sempre voluto giocare a calcio, stare in questo mondo. Non so se augurargli lo stesso. Io un po’ di passione per il sistema calcio l’ho persa. Non per lo sport – a me piace sempre giocare a calcio, a fine allenamento passo il tempo con i ragazzi a calciare. Ma spero che i miei figli facciano altro. Non voglio che subiscano quello che ho subito io sui campi".

Succede ancora?
"Domenica abbiamo giocato contro la Puteolana. È finita 0-0, poche emozioni, brutta partita. Saluto tutti a fine gara e sento insulti dai loro tifosi. Senza che avessi fatto nulla. Sono stato in panchina, tranquillo, senza mancare di rispetto a nessuno. E se la sono presa con me. Dall’altra parte c’era un mio ex compagno, gli ho chiesto: ‘Ma io cosa c’entro?'. E lui mi ha risposto: ‘Tu c’entri sempre'. Mi ha fatto capire che posso comportarmi bene o male, mi insulteranno lo sempre. Così è brutto. E non voglio questo per i miei figli".

Quanto del tuo amore per il calcio è questione di DNA?
"Io nasco appassionato e con un grande amore per il calcio quando ancora non sapevo chi fosse mio padre. L’amore per il calcio nasce dentro di me. Ma è normale, la sua influenza è stata importante. Era bello parlare di calcio con lui".

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Avevate la stessa visione delle cose?
"Lui ha vissuto un calcio che gli ha dato risultati, perché c’era lui. A me piace più costruire dal basso, che la squadra giochi. Lui vedeva il calcio a modo suo, visto dai suoi occhi".

Ti porti dietro qualche rimpianto?
"No, non ho rimpianti. Mi sarebbe piaciuto essere parte del suo staff per viverlo quotidianamente, per fare esperienza. Ma io gli ho detto quello che dovevo dirgli".

Cosa credi ci abbia lasciato tuo padre?
"Due cose. La prima: la totale convinzione, in tutti, che un altro così non nascerà mai più. E poi la grande speranza di poter emergere anche dal basso. Perché lui veramente ha fatto tutto partendo dal basso".

E cosa lascia a te? La prima immagine che ti viene in mente.
"I momenti suoi con mio figlio Diego. Sono cose che non ho potuto vivere con lui. Chi è padre mi può capire: se qualcosa non è successo a te, ma succede ai tuoi figli, sei doppiamente felice. Questo rapporto è riuscito un po’ a darmi quello che non ho avuto".

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