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De Zerbi rifiuta le offerte: “Non riesco a pensare a nessun’altra squadra, tornerò allo Shakhtar”

Roberto De Zerbi spiega di aver rifiutato tutte le offerte ricevute per accasarsi altrove durante la guerra in Ucraina e invita i suoi giocatori stranieri a fare altrettanto: “Ho avvertito i ragazzi: non sbagliate a firmare quando i vostri compagni sono sotto le bombe. Vi comportereste male”.
A cura di Paolo Fiorenza
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Roberto De Zerbi si trova in Italia da quando è riuscito a fuggire dall'Ucraina ad inizio marzo assieme ai suoi collaboratori dello staff tecnico dello Shakhtar, ma la vita del 42enne tecnico bresciano si è fermata alla pioggia di bombe dei russi: andare avanti è difficile, pensieri e sentimenti sono ancora tutti lì. L'ex allenatore del Sassuolo sogna di tornare sulla panchina del club che aveva scommesso su di lui la scorsa estate, il che ovviamente significherebbe che la guerra in quel momento sarà finita.

De Zerbi potrebbe accasarsi altrove approfittando del permesso speciale accordato da UEFA e FIFA, ma è un discorso che taglia sul nascere: "Mi hanno cercato delle squadre all'estero, non ho voluto neanche parlarne. Sì, abbiamo ricevuto una lettera con cui il club ci ‘libera'. Ma ora non ho l'animo. Non riesco a pensare a un'altra squadra. Ho fatto sette mesi in un Paese, non si cancellano in dieci giorni. Anzi: se dovesse riprendere prima o poi il campionato ucraino, mi piacerebbe fare un altro anno allo Shakhtar, se mi volessero ancora".

"Ha la priorità assoluta, aspetto finché ci sarà la possibilità di tornare – spiega il bresciano – Qualunque fosse la squadra, anche senza i brasiliani, anche se non volessero o potessero puntare a vincere. Sarebbe importante per me. Perché ci hanno costretto a scappare come i ladri, ma noi abbiamo lavorato. I ladri, i delinquenti sono i russi che ci hanno invaso". La possibilità di accasarsi altrove durante la guerra vale anche per i calciatori, ma De Zerbi li invita a non pensare al calcio giocato mentre i loro compagni ucraini sono ancora in patria a difendere la propria vita assieme ai loro cari.

"I brasiliani sono depressi, vorrebbero giocare. Qualche club mi ha chiamato per averli: mi ha dato fastidio. Ho avvertito i ragazzi: non sbagliate a firmare quando i vostri compagni sono sotto le bombe. Vi comportereste male. Ok mister, mi hanno risposto", racconta De Zerbi alla Gazzetta dello Sport. Il tecnico lombardo poi espone un paio di pensieri che gli riempiono la mente: "A me ha dato fastidio che non abbiano permesso agli atleti paralimpici russi di gareggiare a Pechino: hanno un'occasione di riscatto ogni quattro anni e gliel'hanno tolta. E poi vedere che il campionato russo continua mi fa ribollire il sangue. Dinamo Mosca e Sochi erano nel nostro hotel ad Antalya (in Turchia nel ritiro prestagionale, ndr). Loro giocano e noi siamo bombardati. Non è giusto. E nessuno dei grandi nomi dello sport russo si è espresso contro la guerra. Esporsi a volte è un dovere".

Roberto De Zerbi non vede l'ora di tornare allo Shakhtar
Roberto De Zerbi non vede l'ora di tornare allo Shakhtar

E poi c'è quel cuore che è sempre pesante come una pietra, anche se lui adesso è in salvo: "Provo un grande vuoto. Sto peggio adesso dei giorni passati a Kiev sotto le bombe. Là c'era da fare: organizzare la fuga per noi e i giocatori, parlare con l'ambasciata. Qui non si può fare niente. Solo guardare. Sentire chi è ancora là. Dei nostri si sono arruolati un magazziniere e un giocatore, ma non in prima linea. A Kiev per fortuna non c'è più nessuno, siamo riusciti a spostare i giocatori nella parte occidentale del Paese. Portarli fuori purtroppo non si può: chi ha tra i 18 e i 60 anni non può lasciare l'Ucraina. Alcuni dipendenti vivevano a Irpin, le loro case sono state bombardate. Il dottore abita a Obolon, bombe anche lì".

De Zerbi era sempre più calato nella sua nuova avventura sulla panchina dello Shakhtar: "Eravamo primi a 12 giornate dalla fine. Se ci dessero il titolo a tavolino, non lo vorrei. Lo avremmo vinto sul campo, il campionato. Per anni. In Turchia finalmente cominciavo a vedere il frutto del lavoro, a dirmi ‘che squadra'. Avevo pure iniziato a pensare come migliorarla ulteriormente. E da un giorno all'altro si è sfasciato tutto. Questa cosa mi distrugge. Io gli ucraini non li avevo capiti, perché ero immerso nel calcio. Freddi, chiusi, diffidenti. Ma questa guerra mi ha fatto capire il loro orgoglio, la loro dignità. Hanno la libertà da 30 anni, difendono valori che noi diamo per scontati". Tornare in un'Ucraina libera: De Zerbi non vede altro futuro per sé.

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