Silenzi che fanno rumore e schermaglie. Punzecchiature a distanza. Un'opera dei pupi che trasforma il lungo addio a Dries Mertens (miglior attaccante della storia del Napoli) in un mistero buffo, con tanto di colpo scena sulle richieste ufficiali per rinnovare il contratto fatte dal calciatore al club attraverso i propri legali. In una mail privata e divenuta pubblica ci sono tutte le condizioni poste, compresa la scadenza temporale oltre la quale (le 18 di mercoledì 8 giugno), in caso di mancata risposta formale oppure diniego, il giocatore si sentirà libero di trattare la migliore offerta per se stesso, sia dal punto di vista economico sia sportivo.
Come se, tutto d'un tratto, si fosse passati dalla "confidenza" che aveva portato il presidente, Aurelio De Laurentiis, a recarsi a casa del belga a Posillipo (nell'incantevole scenario di Palazzo Donn'Anna) al gelo profondo. Allora c'erano da salvare una stagione e un posto in Champions che vale un tesoro e anche andare a Canossa fu una mossa strategica teatrale ma efficace, l'intuizione folgorante che dà la svolta al copione della sceneggiata: fece contenta la piazza, sedò gli animi, tenne la barra a dritta, mise al sicuro il futuro immediato ma non sciolse tutti i nodi sul contratto in scadenza al 30 giugno.
Possibile che adesso si riduca ogni cosa a "vile moneta", a "calciatori che possono rappresentare un problema se non giocano?", al linguaggio freddo e distaccato di un messaggio di posta elettronica? Sì, se è tale la gestione mediatica di una situazione del genere dove – a differenza dell'estrema, dolorosa chiarezza manifestata per tempo dalla Juventus su Dybala – non si è avuta la sensibilità di stringersi la mano e in un abbraccio per salutarsi da buoni amici che hanno legittimi interessi opposti e, dopo aver fatto un pezzo di strada assieme, vanno ognuno per la propria.
Il disamore tra Mertens e il Napoli non è scoppiato un giorno all'improvviso ma è l'epilogo (col patron uomo di cinema, però, mai dire mai…) di un rapporto dove stima, onore e rispetto sono consegnati in pasto al tempo, ai post su Instagram (quello del belga che scrisse "momenti indimenticabili" sembrò già un addio), agli umori e all'interpretazione della piazza, al chiacchiericcio da bar sport, alla dialettica tra opposte tifoserie: quelli che stanno dalla parte del calciatore e contro il pappone che vince solo lui, quelli che alla fine i calciatori sono tutti uguali, ruffiani e pensano solo ai soldi.
Entrambi, il belga e il patron, sapevano benissimo come stavano le cose e quanto sarebbe stato difficile trovare un punto di accordo tra un giocatore di 34 anni che ha dato tutto ma non rientra più nei piani, e un club che dopo anni di spese al di sopra delle proprie possibilità, due Champions mancate e una pandemia devastante dà una sforbiciata ai conti, mira a rigenerare la rosa per aprire un nuovo ciclo dopo quello epico dei 91 punti e della grande bellezza.
Bastava dirlo con lucidità, alla luce del sole anche se fa male: l'uno ha compreso – e si era notato anche nel corso dell'ultimo campionato – che il suo ruolo non sarebbe stato più centrale e un po' non ha digerito sentirsi messo alla stregua di un giocatore qualunque, al quale viene sbattuto in faccia l'aut aut sul taglio dei costi e sulla decurtazione dello stipendio; l'altro aveva già deciso cosa fare e adesso fa la figura del ti amo troppo ma tu mi chiedi quel che non posso darti e per questo dobbiamo lasciarci.
Tra gola profonda e smentite su richiesta d'ingaggio (2.4 milioni), bonus alla firma (1.6), premi di rendimento per gol e trofei, commissioni agli agenti calcolate al 10% del lordo (circa 800 mila euro) il Napoli e Mertens si parlano attraverso e-mail, ricorrono ai messaggi degli avvocati e agli annunci della radio ufficiale. Che desolazione. Dopo 9 anni di "amore" e un po' di odio (come quella storiaccia dell'ammutinamento) si danno e si rinfacciano un ultimatum. Che brutto finale da basso impero.