Aurelio De Laurentiis ha sbagliato tutto quel che poteva sbagliare nella gestione della vicenda Rudi Garcia. Che di fatto è un allenatore rimproverato, commissariato, svuotato e sotto tutela, delegittimato pubblicamente (oltre che mal sopportato da buona parte dello spogliatoio), messo (quasi) alla porta confessando il "momento no" che sta vivendo e la necessità di prendere "decisioni con la morte nel cuore" salvo trattenerlo per la giacchetta dopo il rifiuto di Antonio Conte. Una circostanza surreale: il francese era a Castel Volturno al suo posto di ‘comando', il presidente ordiva il ribaltone e trattava sotto banco con il possibile successore studiando anche la migliore strategia per liberarsi dell'impiastro in panchina.
Il paradosso della Legge di Murphy traccia la cornice della questione: "Se ci sono due o più modi di fare una cosa, e uno di questi modi può condurre a una catastrofe, allora qualcuno la farà in quel modo". Un disastro su tutta la linea. Ma è solo la punta dell'iceberg di un'estate di vanagloria durante la quale ha avocato a sé ogni cosa, dal ruolo di direttore sportivo fino alla convinzione che il vero Pigmalione del Napoli da scudetto fosse lui e solo lui. Ed era certo che avrebbe potuto convincere Antonio da Lecce facendogli ponti d'oro, dandosi un pizzico sulla pancia quanto a diritti d'immagine, autonomia decisionale, composizione dello staff e quant'altro gli sarebbe stato richiesto. Gli è andata male.
Puntava (e punta ancora?) tutto sul sì dell'ex Tottenham, gli è rimasto tra le mani l'ennesimo diniego incassato da un tecnico oltre a una domanda che proprio non riesce a togliersi dalla testa. Perché nessuno vuole allenare il "suo" Napoli? Qualche risposta se l'è data, come nel caso di Thiago Motta descritto come pavido e di Luis Enrique che "meno male che non è venuto per quel che sta combinando a Parigi". Ma in cuor suo sa che, forse, la ragione è un'altra.
Volle, fortissimamente volle, occuparsi direttamente del mercato dopo l'addio del direttore sportivo Cristiano Giuntoli, salvo ingaggiare una nuova figura (Meluso) che non facesse (e non gli faccia) troppa ombra e potrebbe ripudiare con uno schiocco di dita. Le trattative al risparmio, i nodi irrisolti dei rinnovi, le levate di scudi dei procuratori sono una spina nel fianco e avvelenano i pozzi.
Volle, fortissimamente volle, mettersi a fare il casting per scegliere il nome del nuovo allenatore certo che, Spalletti a parte, la maggioranza dei meriti del titolo di Campione d'Italia fosse frutto delle sue intuizioni nell'aver allestito una squadra competitiva vantando visione e fiuto imprenditoriale che pochi hanno in Italia. E pensò che, in fondo in fondo, sarebbe bastato anche un "Garcia qualsiasi" per guidarla a prezzo di costo, senza far danni e puntando a una comoda qualificazione in Champions.
Volle, fortissimamente volle, brandire il libercolo dei contratti e del patto tra gentiluomini finendo a carte e quarantotto in tribunale con l'ex tecnico, che avrebbe tradito fiducia e promessa di "anno sabbatico" messo nero su bianco, fino a scontrarsi perfino con il presidente federale, Gabriele Gravina, accusando in buona sostanza la Figc di non essere in grado di tutelarsi rispetto all'addio improvviso, inatteso, di Roberto Mancini attratto dai milioni dell'Arabia Saudita.
E adesso volle, fortissimamente volle, calarsi anche nei panni di Garcia che ha scelto di tenere ancora per un po'. Tre partite, fino alla prossima sosta. Fino a quando ce la farà a resistere, a bere senza affogare. De Laurentiis ha chiesto aiuto ai ‘senatori' in video-chiamata perché lo supportino e creato intorno al tecnico una rete di protezione funzionale a se stesso, al risparmio in cassa, alla barca che altrimenti rischia di affondare, per evitare il fallimento più clamoroso della storia di un club che un anno vince lo Scudetto e quello dopo prende ceffoni a destra e a manca per la smania delirante di onnipotenza del suo patron. Perché il suo Napoli è figlio unico ed è convinto che Chinaglia non può passare al Frosinone.