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Davide Santon oggi, il calcio è lontano: “Non riuscivo più a correre, ma il triplete lo sento mio”

Intervista esclusiva a Davide Santon, ex calciatore dell’Inter protagonista, in parte, della stagione del triplete con José Mourinho. Dagli aneddoti su quell’annata al travagliato percorso che l’ha portato alla sofferta decisione del ritiro a 31 anni.
A cura di Fabrizio Rinelli
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"Il bambino è bravo". Quando Davide Santon giocava all'Inter nessuno si sarebbe mai aspettato che José Mourinho potesse affidarsi a lui per marcare Cristiano Ronaldo, la stella del calcio europeo in quegli anni, nella sfida di Champions League contro il Manchester United. Il difensore di Portomaggiore si comportò benissimo e riuscì a placcare il portoghese scambiandosi poi anche la maglietta a fine partita. Fu l'inizio di una carriera da cui sicuramente ci si aspettava tanto e invece i tanti infortuni hanno fortemente limitato il percorso di Santon nel mondo del calcio.

Dopo l'esperienza alla Roma in cui è riuscito a ritrovare proprio Mourinho sul suo cammino, a soli 31 anni Santon ha deciso di smettere e appendere le scarpette al chiodo. Troppo forte la delusione di non riuscire a scendere in campo ed esprimersi al meglio per questo ha detto basta senza troppi giri di parole. È entrato nel calcio senza fare rumore ed è uscito allo stesso modo. Nella sua carriera ha vestito le maglie di Inter, Cesena, Newcastle e Roma prima di decidere di dare l'addio al calcio giocato a soli 31 anni. Santon ha raccontato a Fanpage.it il suo percorso nel calcio e la sua esperienza con l'Inter passando dal rapporto con Mourinho.

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Cosa fa Davide Santon oggi?
"Ho smesso non come volevo io, ma per problemi fisici. Alla Roma fisicamente non stavo bene e sono arrivato alla conclusione di smettere perché non ce la facevo più, almeno per stare a quei livelli. Adesso sto bene ma progetti per il futuro ancora non ne ho, non mi è scattata la scintilla. Sto pensando a cosa fare della mia vita".

La decisione di lasciare il calcio l'hai presa a soli 31 anni. Ci spieghi il processo che ti ha portato a smettere?
"Dalla rottura del ginocchio all'Inter è stato un calvario, perché non sono tornato più al 100%. Anche alla Roma ho avuto tanti infortuni muscolari e a un livello come la Serie A, se non riesci ad andare forte, devi smettere: il mio corpo non rispondeva più. Avevo offerte in Turchia e Inghilterra, ma non stavo più bene con me stesso e ho preferito fermarmi".

Fino a che punto sei stato provato dal tuo corpo?
"All'inizio ti prende fisicamente e in automatico mentalmente, già durante gli allenamenti giochi con il freno a mano tirato. Sono arrivato alla fine che non ce la facevo più, so quello che ho provato e cosa ho passato. Ho smesso il giorno in cui non riuscivo più a correre, quando entrambe le gambe mi hanno mollato".

Qual è il tuo primo ricordo quando pensi all’Inter?
"È il club più importante per me, ci sono cresciuto e sono arrivato in prima squadra, che è una cosa difficilissima. E poi ho giocato in una delle Inter più forti di tutti i tempi".

Gli anni difficili post Mourinho con già qualche infortunio alle spalle.
Gli anni difficili post Mourinho con già qualche infortunio alle spalle.

La prima squadra l'hai conosciuta grazie a José Mourinho. Ci racconti il suo approccio?
"L'anno prima di lui c'era Mancini che ogni tanto mi chiamava per fare qualche allenamento con la prima squadra. Sapevamo però che l'anno dopo sarebbe arrivato Mourinho. Io conoscevo il figlio di Mancini e ricordo che mi disse: ‘Guarda che se rimane mio padre l'anno prossimo ti porta in ritiro con la prima squadra'".

E poi è arrivato Mourinho.
"Ero pronto per iniziare con la Primavera, ma mi arriva la lettera a casa in cui mi veniva comunicato che sarei andato in ritiro con la prima squadra. Arrivato alla Pinetina il giorno del raduno ricordo il saluto di Mourinho, ma era molto freddo con i giocatori giovani, voleva tenerli tranquilli. Pian piano ci siamo parlati sempre di più, fino a quando si è creato un legame forte e sincero".

Mourinho nella stagione dell'Inter del Triplete.
Mourinho nella stagione dell'Inter del Triplete.

Qual è l'aneddoto più curioso che ricordi del tuo rapporto con lui?
"Con l'Inter ero sempre tra panchina e tribuna. A dicembre parlai con la società per capire se potessero mandarmi via per giocare: mi voleva il Palermo che mi aveva garantito di fare tutte le partite da titolare fino a fine stagione. Per me era una bella opportunità, ma arriva Mourinho e mi fa: ‘Davide, c'è Maicon squalificato quindi dopo Natale contro il Cagliari giochi titolare'. Durante le vacanze mi alleno tutti i giorni per farmi trovare pronto. In settimana ci prepariamo, arriva il giorno della partita e mette Zanetti terzino destro".

Poi però l'occasione è arrivata.
"Dopo quella partita gioco titolare contro la Roma in Coppa Italia e lo faccio benissimo. Successivamente scendo in campo da titolare in campionato per altre due partite e poi in quella famosa sfida contro il Manchester United di Cristiano Ronaldo in Champions League. Da lì poi sono stato titolare fisso".

Cosa ti disse Mourinho prima di marcare Cristiano Ronaldo?
"Prima della partita non disse niente, diede la formazione e basta. Mi parlò il giorno dopo in allenamento. Disse: ‘Ah, però c'hai le palle te'. Si mise a ridere e andò via. Lui fa così, ti fa capire delle cose senza dirle, ma tu lo sai. Io sapevo che lui era contento, anche perché Cristiano Ronaldo l'avevo studiato benissimo: mi ero guardato tanti video per studiare il doppio passo".

Hai avuto un impatto clamoroso nella tua prima stagione. Ricordi più pressione o eccitazione di quel tempo?
"In quel momento lì non pensi, vai in campo dando il massimo. Era tutto bello, ero così giovane e mi trovavo a giocare con Ibrahimovic, Adriano, Figo, Vieira, Zanetti, Samuel, Julio Cesar. Insomma, qualcosa di incredibile".

Hai vissuto solo in parte l’annata del triplete: che esperienza è stata far parte di quel gruppo?
"Bellissima. Il triplete l'ho vinto e lo sento mio in parte, dato che sono stato infortunato. Il ginocchio, solo per giocare una partita, richiedeva delle punture e non riuscivo più a muoverlo. Mi venne un'infezione che mi portò ad operarmi e restai fermo sette mesi. Li ho visti arrivare a quel traguardo ed è stato un anno bellissimo per la storia dell'Inter".

Santon con la maglia della Roma nella sua ultima esperienza.
Santon con la maglia della Roma nella sua ultima esperienza.

Ricordi un momento, un episodio ad inizio stagione che vi fece pensare: possiamo vincere tutto?
"Ho capito che potevamo vincere tutto quando a Kiev all'89' eravamo sotto 1-0 e con un pareggio o una sconfitta saremmo stati eliminati. Facemmo due gol in quattro minuti e passammo al secondo posto. Vidi un atteggiamento di squadra che rappresentò la svolta per raggiungere quel traguardo".

L’Inter di Inzaghi è una squadra molto diversa da quella, ma ci vedi un punto di contatto, qualcosa di simile?
"Questa Inter mi piace tanto come gioca, è forte in tutti i reparti, completa. Inzaghi è riuscito a dargli una bella impronta, tutti sanno quello che devono fare".

Quando hai capito che la tua avventura all’Inter stava terminando?
"Quando sono arrivati i problemi fisici e ho cominciato a inanellare brutte prestazioni. Ti possono perdonare due volte, la terza è difficile. Io ho sbagliato tante volte, ne sono consapevole, ma fisicamente non stavo bene. A un certo punto non giocavo più e in un periodo di rivoluzione abbiamo cambiato tanti allenatori: Benitez, Leonardo, Gasperini. Con Gasp sono andato via perché vedeva due giocatori sopra di me".

Santon con Mario Balotelli ai tempi dell'Inter.
Santon con Mario Balotelli ai tempi dell'Inter.

Hai ancora rapporti con qualche giocatore nerazzurro di quegli anni?
"Solo con Mario (Balotelli ndr), anche se è un po' matto, perché cambia numero in continuazione. Con gli altri no, ci siamo persi un po' di vista".

Cosa vi siete detti con Mourinho quando vi siete rivisti alla Roma?
"Cii siamo ritrovati nel mio momento peggiore. In quei giorni mi arrivò la lettera dalla società nella quale mi spiegavano che ero stato messo fuori rosa. Con Mourinho ci parlai solo dopo perché voleva portarmi con la squadra in ritiro. Mi chiese: ‘Come stai?'. Gli dissi che non potevo garantirgli continuità e lui rispose: ‘Davide, io ti voglio bene, ma non posso portarti in squadra se non stai bene'. Ho fatto un anno fuori rosa in cui ho valutato cosa fare e dopo ho deciso di smettere".

C’è un momento che rappresenta il grande bivio, il rimpianto della tua carriera?
"Rimpianti non ne ho. Forse il mio primo infortunio: col ginocchio rotto giocai tutto il secondo tempo in una partita con l'Italia U21 e finii per romperlo completamente. Se dovessi tornare indietro mi fermerei, quello fu un errore di gioventù. A fine partita non riuscivo neanche a piegare la gamba. Per il resto ho dato sempre il 200%, per questo non ho rimpianti: ci ho sempre messo impegno".

Il mondo del calcio è ancora il tuo mondo?
"Non lo so. Sono cresciuto con Moratti, un uomo che ti dà amore, un punto di riferimento. Negli anni ho visto le cose cambiare. Vieni trattato sempre con superficialità, non si creano più legami. Non so se sia ancora un mondo che possa appartenermi".

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