Dani Alves in libertà dopo 14 mesi di carcere: lo attendono 3 persone, manca quella più importante
Dani Alves ha lasciato oggi il carcere di Brians 2 di Barcellona dove era detenuto da 14 mesi a causa dell'accusa di violenza sessuale per la quale è stato condannato a 4 anni e 6 mesi, oltre al pagamento di un indennizzo di 150 mila euro alla vittima che lo ha denunciato. Il pagamento della cauzione di 1 milione di euro ha aperto le porte della prigione al brasiliano, adesso in libertà provvisoria: a versare la somma non è stato Neymar (né il papà), come era trapelato nei giorni scorsi, ma lo stesso calciatore.
Dove ha trovato i soldi se ha i conti bloccati e i beni sotto sequestro in seguito al procedimento per insolvenza avviato dalla ex moglie (e madre dei suoi figli)? Tra le varie ipotesi accreditate ce n'è una caldeggiata dai media iberici e ritenuta molto plausibile rispetto ad altre: fa riferimento a una villa di sua proprietà del valore di 5 milioni di euro, data in pegno per saldare l'importo necessario. Il tempo affinché fosse effettuata la valutazione dell'immobile ha di fatto rinviato di qualche giorno l'uscita dalla cella del sudamericano.
Alves non aveva altra scelta alla luce della difficile situazione finanziaria in cui si trova, nonostante l'entità del suoi averi sia stimata in almeno 55 milioni di euro: una reazione a catena iniziata con la rottura del contratto da parte del club messicano, Pumas, con il quale era tesserato e culminata coi provvedimenti restrittivi imposti dall'autorità giudiziaria.
Il giocatore era stato arrestato il 20 gennaio 2023 e tenuto dietro le sbarre in via preventiva fino al processo, essendo stata respinta ogni richiesta di libertà provvisoria da parte dei suoi legali. Una proposta negata non solo per il rischio di fuga ma soprattutto per l'incongruenza delle versioni fornite e i cambi continui di narrazione dei fatti: tutte deposizioni ritenute per nulla credibili rispetto alle dichiarazioni della donna 23enne che lo ha denunciato e rifiutato sempre ogni forma di risarcimento.
Giacca a vento di colore nero. Maglia bianca a girocollo alto. Jeans. Stivaletti vistosi. Così era vestito Alves quando ha abbandonato il penitenziario catalano. Sguardo dritto dinanzi a sé, accanto c'era il suo avvocato, Inès Guardiola. Era lei una delle tre persone che s'era recate lì ad attendere che varcasse il portone della casa circondariale (oltre ad alcuni manifestanti). L'altra era Miraida Puente, il primo avvocato che prese in incarico la sua posizione. La terza era Bruno Brasil, un amico del calciatore che era presente nella discoteca Sutton quella sera in cui avvenne la violenza in uno dei bagni del locale.
L'assenza è presenza, recita un vecchio adagio. Lì fuori mancava la persona finora più importante della vita del calciatore: sarebbe stato davvero un colpo di scena vedere Joana Sanz, la moglie che aveva anche reso testimonianza durante il processo, confermando alcuni passaggi della tesi difensiva sullo stato d'ebbrezza dell'imputato. Alves le ha anche dedicato una lettera struggente dal carcere ma la vicenda giudiziaria ha distrutto il loro rapporto in un momento molto delicato per la stessa consorte.