Cos’è il Milan? I limiti del club e di Giampaolo (ma chi rischia è solo lui)
In mezzo al guado. Il Milan di Giampaolo dopo cinque giornate è un abbozzo, un progetto, una tela ancora bianca come la maglia da trasferta che ha fatto risaltare il cuore granata allo stadio Grande Torino. Non sarà stato grande, il Toro di Mazzarri, ma è bastato a colpire e affondare quello che Giampaolo ha definito il miglior Milan della stagione. Visto il risultato, non è proprio incoraggiante. Ma non si può nemmeno dire che abbia torto. E' stato, probabilmente, davvero il miglior Milan dell'anno: e questo è parte del problema, non l'inizio della soluzione. La domanda sorge spontanea: che cos'è questo Milan? Che strada prenderà da qui a fine stagione?
Milan, i limiti di un possesso sterile
Il Milan, secondo i dati Wyscout, conserva significative certezze in difesa: è terza in serie A per expected goals against: dunque ha concesso tiri che avrebbero dovuto portare a subire 4 reti, e ne ha incassate tre. Ma quel che manca in questo guado è la produzione offensiva. In termini di stima di gol realizzati, in base a tipologia e qualità di tiri, il Milan è ultima in Serie A. Non arriva a quattro expected goals in stagione, vuol dire che ogni tiro ha il 7% di possibilità di portare a un gol, la metà rispetto al Torino, che da questo punto di vista è la squadra migliore della Serie A.
C'è, in questo Milan che cambia forma e moduli, almeno tre diversi da inizio campionato, una discrasia, uno scarto tra la quantità e la qualità. C'è la dimostrazione che i numeri non spiegano tutto, e non sono tutto nel calcio. I rossoneri mantengono infatti la terza media di passaggi a partita più alta della Serie A. Eppure, i soli due gol nelle prime quattro giornate, prima del rigore di Piatek a Torino, rappresentano il peggior rendimento realizzativo a parità di incontri disputati nella storia del Milan dal 1986/87, dall'era pre-Berlusconi.
"Considero di pari importanza sia l’organizzazione della squadra in fase di non possesso che in quella di possesso" scriveva Giampaolo nella tesi per il corso di allenatore a Coverciano nel 2007. "Penso che avere un canovaccio da seguire, un copione da rispettare possa anzitutto produrre un calcio meno improvvisato e quindi anche esteticamente migliore, inoltre ritengo che nel momento di difficoltà una squadra che sa ciò che deve fare possa
utilizzare queste conoscenze come ancora di salvezza per non andare quindi completamente alla deriva in balia degli avversari". Al Milan, però, succede esattamente il contrario.
Milan, stretta è la via di Giampaolo
La heatmap, ovvero la mappa delle zone più battute in campo, evidenzia nelle ultime due partite contro Inter e Torino l'intenzione del tecnico di tenere la squadra stretta, più affilata nel momento
Abbandonato il 4-3-1-2 dopo i primi 20 minuti del derby, il grafico evidenzia le differenze tra le due partite. Contro il Torino, infatti, la presenza sulla trequarti è più densa, soprattutto nella zona di centro-destra, quella di Suso riportato nella posizione che sente più naturale. Anche se la versione dello spagnolo in questo inizio di stagione è opaca almeno quanto quella di Piatek, il "Pum Pum" che ormai spara a salve: pallottola spuntata.
Tanto è vero che a Torino il Milan è stato in partita per un'ora, finché in campo è rimasto Leao che ha dimostrato tre cose: in Serie A può starci benissimo, ha l'intelligenza per integrarsi con Piatek nella ricerca della profondità e nell'apertura di spazi, gli manca solo concentrazione e la convinzione per incanalare il suo precoce talento.
Il rebus di centrocampo
Giampaolo dovrebbe fare come Frodo, l'elfo protagonista del Signore degli Anelli lascia la Terra di Mezzo. Il destino, che si sta costruendo anche con ripensamenti e adattamenti non lineari, continua a farlo camminare lungo una precaria mezzeria. Ed è in mezzo, nel mezzo, in quel rebus di centrocampo di cui ancora non trova soluzione, che il tecnico può individuare la direzione per la svolta.
Prima questione: Biglia o Bennacer? Hanno fatto abbastanza male entrambi finora. Biglia è più ragionatore, Bennacer più dinamico magari ma a Torino ha anche sbagliato molto. E disallineato gli equilibri interni che fanno funzionare un centrocampo a tre.
E' infatti auspicabile, come succede, che le mezzali rimangano larghe ad occupare gli spazi di mezzo e aiutare i terzini nella copertura della fascia. Ma a Torino il play Bennacer gioca a coprire la mezzala Calhanoglu, e infatti il Milan fatica a compiere interventi difensivi nella zona centrale di centrocampo. Certo, questo è anche il risultato dell'impostazione generale che prevede una linea più stretta in fase di non possesso con l'idea di far defluire il gioco avversario sulle fasce: dunque, se il piano riesce è comprensibile che gli interventi difensivi aumentino sulle corsie.
Ma quella zona scoperta rimane anche contro l'Inter, quando evidentemente il piano non ha funzionato. Non stupisce che uno dei migliori nel centrocampo del Milan sia un lottatore come Kessie, che recupera e ricuce come può. Più difficile sembra individuare un elemento in grado di incidere come mezzala sinistra, tra Calhanoglu, Paquetà o al limite Castillejo che è mancino ma gioca più spesso a destra.
Sbagliata l'idea o inadatti gli uomini?
Le cinque giornate del Milan lasciano l'idea di una rivoluzione concettuale incompiuta, di un'idea di gioco che non si applica alle caratteristiche degli uomini a disposizione: e non è la prima volta che succede nella storia recente dei rossoneri.
Giampaolo è arrivato con l'idea di giocare con il 4-3-1-2: servono terzini di spinta, a destra ci sono, a sinistra lo sarà Hernandez, certo non lo è Rodriguez. Ma la difesa tiene, anche se a Torino qualche errore di piazzamento si è iniziato a vedere. Servono soprattutto mezzali veloci a coprire il campo nelle due fasi, serve una circolazione rapida del pallone, giocare a uno o due tocchi, movimenti senza palla per occupare gli spazi di mezzo.
Invece il Milan ha intermedi di centrocampo che tengono palla, che ragionano a ritmi più compassati, che non si accordano del tutto con l'identità di squadra. I rossoneri non si possono concedere di addormentare la partita col pallone tra i piedi. Un paio di elementi in grado potenzialmente di dare un cambio di passo negli ultimi trenta metri ci sarebbero anche, Leao e Rebic, che potrebbe andare a occupare la zona di Suso.
Le responsabilità della società
Lo spagnolo è forse il simbolo di questa distanza tra l'idea e la resa che sta zavorrando il Milan. Non si adatta a fare il "dieci", almeno non ancora, e gioca un calcio che non si intona del tutto con l'idea di Giampaolo di occupazione degli spazi e rapidità nella ricerca della porta negli ultimi trenta metri.
Certo, l'allenatore ha le sue responsabilità. Perché il Milan manifesta caratteristiche dissonanti: la difesa è spesso bassa, e una squadra che vuole giocare un calcio propositivo rischia di più se si aprono troppi metri tra la linea arretrata e il centrocampo. Disegna un Milan stretto, inevitabilmente allungato anche dallo stile di Piatek, e allora perché è penultima per passaggi filtranti e quintultima per attacchi in profondità in Serie A, secondo i dati Wyscout?
Però è anche vero che c'è una società, che i nuovi acquisti sono stati scelti in accordo con Boban e Maldini. Ma al puzzle mancano dei pezzi, il disegno è confuso, incompleto. Qual è l'identità della squadra?
Non è un caso che le squadre con più filtranti in A siano Lazio e Atalanta, due formazioni compatte, che chiaramente giocano un calcio più diretto con un'identità molto più chiara. Il Milan vuole andare verso questo modello? O verso l'Inter, comunque seconda per passaggi in Serie A? Se sì, il passaggio al 3-5-2 potrebbe non essere un'idea così sbagliata anche sacrificando Suso e magari uno tra Paquetà e Calhanoglu.
Per il 4-3-3 classico forse manca una mezzala veloce a inserirsi negli spazi senza palla, un Khedira o un Fabian Ruiz. Per un 4-3-1-2 di fatto un trequartista adatto non si trova in rosa. Il Milan, in questo momento, sembra una squadra che potrebbe dare il meglio puntando a far giocar male gli avversari, come l'Uruguay degli anni Novanta. Una squadra tutta orientata a chiudere spazi, irretire, rallentare, aspettare e colpire. Una squadra fuori tempo, perché questo calcio non paga più.