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Cosa vuol fare De Laurentiis con Ancelotti: resta o Napoli non è casa sua?

Secondo tanti allenatori e lo stesso Ancelotti, il ciclo giusto per un tecnico in un club è di 3 anni. Solo se si crea quella che chiama “sintonia culturale” giusta, la società può diventare casa (come a lui è successo nel Milan). Nel Napoli si è avuta questa fusione culturale fra società, ambiente e allenatore, tale per cui Ancelotti si sente davvero a casa? Su questo punto si possono fare solo supposizioni ed è inutile cercare la verità. Ha il contratto il scadenza nel 2021 e non è chiaro ancora cosa farà. Però la risposta per valutare il percorso ancelottiano e intravederne il futuro forse è proprio lì.
A cura di Jvan Sica
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Parliamo in metafora, paragonando le squadre di calcio a delle navi. Se così fosse, il Napoli a che velocità di crociera sta andando? Sembra veloce quando il mare è calmo (Lecce, Sampdoria), rallenta di fronte alle prime avvisaglie di cattivo tempo (Juventus e Cagliari). Ma c’è anche la bellissima traversata fatta in un mare sempre tempestoso e difficile (la vittoria con il Liverpool in Champions League). Potremmo descrivere in questo modo il primo mese di stagione calcistica, anche se, a differenza del semplice navigare, nel mare del calcio con il Napoli ci sono anche tante altre navi che sembrano fino ad oggi andare molto meglio e più veloce.

Restando in metafora poi, bisogna almeno parlare del capitano della nave, Carlo Ancelotti. Il tecnico di Reggiolo era stato scelto, oltre che per la sua caratura internazionale e la sua indiscutibile bravura in ogni aspetto della gestione calcistica, anche per quanto è totalmente diverso rispetto a Sarri. L'uno è il dilettante divenuto genio della panchina, l’altro il campione prima e dopo aver appeso le scarpe. L'uno è il maniaco degli schemi, l’altro è abile nel far fare ai calciatori “liberamente” quello che vuole lui. L'uno è focalizzato sui suoi uomini, perché i soli che possono mettere in pratica idee che richiedono attenzione, dedizione e applicazione massima, l’altro è colui che sa gestire anche rose extralarge, perché tende ad includere tutti cambiando i moduli, le posizioni e i ruoli, non lasciandosi mai guidare da un’idea fissa (tranne ad inizio carriera quando rifiutò Baggio per il 4-4-2). Così è stato presentato soprattutto alla piazza Carlo Ancelotti, che non aveva invece bisogno di presentazioni per il resto del mondo. Ma questo può valere per il primo anno.

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Oggi è giusto chiedersi, il percorso ancelottiano a che punto è? Difficile dirlo, un po’ perché non sono chiari gli obiettivi (il Napoli vuole vincere qualcosa oppure ha senso solo restare nel calcio dei grandi d’Europa, cercando di migliorare posizioni e statement ogni anno?), un po’ perché lo stesso allenatore non ha mai chiarito pubblicamente cosa ha chiesto alla società. E questo è anche giusto, perché le premesse e le promesse è meglio tenerle nel chiuso di una stanza.

Detto questo, noi che ne scriviamo abbiamo un solo appiglio, riferirci alle idee ancelottiane, per capire meglio la situazione attuale e soprattutto quella futura. Il modo migliore per farlo è leggere i libri che Carlo Ancelotti ha scritto in questi anni, per tirare fuori idee e visioni interessanti. La prima cosa che fa al caso nostro è il pensiero che un dipendente di una società debba avere, come uno degli obiettivi fondamentali del suo percorso, fare felice il datore di lavoro, ovvero il Presidente. Far felice Berlusconi, scrive Ancelotti, vuol dire farlo vincere in maniera spettacolare, mettendo in campo tutti i campioni che poteva acquistare grazie alla sua forza economica. Gli Agnelli invece volevano vincere e basta, non era importante il modo (la scelta di Sarri è in questo senso rivoluzionaria).

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Aurelio De Laurentiis cosa vuole? Dalle parole del Presidente del Napoli gli obiettivi sembrano abbastanza chiari: una società sana, riconosciuta in ambito internazionale, con un suo appeal mediatico e commerciale anche in mercati emergenti e soprattutto una fucina di talenti comprati al di sotto dei 25 anni e poi rivenduti al doppio o al triplo grazie alle ottime prove fatte in maglia partenopea. In questo senso Ancelotti ha cercato subito di far felice il Presidente, dando spazio e responsabilità, incrementando il valore economico dei vari Ruiz, Maksimovic, Elmas, Meret, Malcuit. Su questo ci siamo, però questo atteggiamento porta con sé il corollario quasi necessario che una vittoria non potrà mai arrivare, perché si perdono i giocatori i migliori e si rinforzano le altre squadre. Ancelotti, premesso il suo pedigree, è convinto o meglio accetta con serenità questo assioma? Se davvero ha fatto di tutto per portare James Rodriguez a Napoli e preteso almeno Llorente, sembra non esserci perfetta sovrapposizione d’intenti.

Altra idea che viene fuori dai suoi libri è l’importanza di un direttore generale cuscinetto fra l’allenatore e il presidente. Nel Napoli non ne esiste uno vero e proprio, in quanto c’è un direttore che si occupa dell’area sportiva, Giuntoli, un altro che si interessa dell’area prettamente commerciale, Formisano. Potrebbe Ancelotti soffrire l’assenza di questa figura intermedia, per lui ritenuta necessaria? Alcuni screzi di cui si è parlato alla fine della stagione scorsa potrebbero condurre verso questa riflessione.

Infine c’è un terzo punto. Secondo tanti allenatori e lui stesso, il ciclo giusto per un tecnico in un club è di 3 anni, non di più. Solo se si crea quella che chiama “sintonia culturale” giusta, la società può diventare casa per un allenatore, che può restare anche più anni (come a lui è successo nel Milan). Nel Napoli si è avuta questa fusione culturale fra società, ambiente e allenatore, tale per cui Ancelotti si sente davvero a casa? Ha il contratto il scadenza nel 2021 e non è chiaro ancora cosa farà. Su questo punto si possono fare solo supposizioni ed è inutile cercare la verità. Però la risposta per valutare il percorso ancelottiano e intravederne il futuro forse è proprio lì.

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