Cosa sta succedendo davvero nel calcio in Arabia Saudita: no, non è una storia di “ricchi scemi”
Ogni giorno la stessa storia, ogni giorno milioni di persone sfogano sui social o attraverso qualsiasi altro mezzo lo schifo per un calciatore di un qualsiasi campionato europeo che va in Arabia Saudita in una delle squadre della Saudi Pro League. E non è un andazzo solo dei tifosi e degli appassionati, ma ormai anche gli addetti ai lavori e i calciatori stessi (vedi Kroos per l’affare Gabri Veiga) esprimono il loro disappunto al limite del nauseato di fronte alle operazioni di calciomercato dei club arabi.
Non si vuole né ascoltare le parole di coloro che sono demandati a parlare per la Lega dell’Arabia Saudita, cercando di capire cosa sottintendono e nemmeno vedere un futuro possibile verso cui le nuove rotte commerciali del calcio ci stanno portando. Questa volta non si ha a che fare con un progetto né “cimiteriale”, con l’acquisto di calciatori a fine carriera che vanno a monetizzare nome e quel poco di ginocchia sane che hanno ancora in lidi dove stare al massimo tre anni per poi riscappare in Europa, né “da ricchi scemi”, ovvero un progetto in cui far scivolare a cifre folli per il mercato interno calciatori di media bravura, eccezionali nello sfruttare una finestra di tempo limitatissima per farsi comprare a suon di milioni e letteralmente sparire dalla circolazione.
Il progetto Saudi Pro League è, o almeno sembra fino a questo momento perché parliamo sempre di uno solo che politicamente ed economicamente decide e questo fa oscillare tantissimo la stabilità del progetto stesso, qualcosa di completamente differente. I manager politici e calcistici dell’Arabia Saudita vogliono creare non tanto un campionato alternativo a quelli europei, perché l’idea di competere con un portato di passioni e tradizioni, oltre che di spettacolo comunque assicurato e sotto casa ogni weekend, sarebbe folle e come abbiamo visto in tanti casi perdente, ma vogliono creare un gruppo di squadre di quel campionato che possano essere viste come necessarie ai tornei europei, ovvero alle tre competizioni continentali che organizza l’UEFA, Champions League in prima battuta.
Ma come si fa a farsi accreditare in un mondo che non è il tuo, anche solo per una questione di confini geografici (qui siamo in Europa, lì siamo in Asia)? Si deve creare la necessità di avere quelle squadre. Quindi si devono formare squadre con i calciatori che non possono non partecipare alle competizioni europee perché tra i più bravi al mondo.
Che valore ha la Champions League se sapessimo che in quel torneo non gioca la squadra che ha, per ipotesi, come tridente offensivo Salah-Benzema-Osimhen o in un futuro non troppo lontano un trio come Mbappé-Vlahovic-Rodrygo? Quindi la Saudi Pro League deve creare questa condizione necessaria e può farlo solo in un modo in questa fase di lancio, strapagando tutti perché ha solo quella leva competitiva che può funzionare oggi, sbilanciando il mercato.
Invece di indignarci ogni cinque minuti quindi, sarebbe meglio considerare l’idea che il calcio cambia e che non è un giocattolo solo nostro (italiano men che meno) e cercare non solo di non fare gli orgogliosi e schifati, ma a questo punto di sfruttare questa possibilità per bilanciare la disparità economica che oggi fa muovere i calciatori.
In Premier League, non per niente primi al mondo, lo hanno capito molto bene. Anche loro fanno finta di schifarsi di fronte ai soldi arabi, ma i vari Mahrez, Mendy, Saint-Maximin, Fabinho, Ruben Neves, Mitrovic, Koulibaly, Henderson li hanno salutati senza grandi isterie, consci che l’ingresso così ingente di nuovi liquidi può far solo bene al loro campionato e al futuro delle loro squadre. Noi invece abbiamo fatto casino anche per Tatarusanu all’Abha Club, dimostrando limitatezza di visione e poca capacità di sfruttare un momento che sarà di sicuro passeggero.
La Saudi Pro League non è la barbarie che vuole distruggere il nostro calcio, creandone uno alternativo fatto di highlights per i cinesi immersi nel cellulare. Vuole partecipare al nostro calcio, anche perché lì il calcio è amato e crea passione come da noi. In questo momento di lancio del progetto può farlo soltanto con i soldi, che muovono il mondo, pensa te se non muovono Gabri Veiga a 21 anni, nel futuro prossimo con la forza del talento che hanno nelle loro squadre, da avere necessariamente per assistere allo spettacolo che tutti i tifosi vogliono. Questo fa schifo? È calcio, resta calcio, è sempre stato calcio.