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Superlega europea di calcio

Cosa può fare la Uefa con Juventus, Inter, Milan e i club ribelli della Superlega

Il progetto di Superlega delle big europee è naufragato sotto i colpi delle minacce da parte di sponsor, governi e federazioni, ma i problemi finanziari restano. Per questo, è probabile che le competizioni di punta dell’Uefa possano subire cambiamenti radicali, con l’obiettivo di portare a casa una quota di ricavi maggiore rispetto al passato.
A cura di Benedetto Giardina
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La Uefa è pronta a riabbracciare le dissidenti della Superlega. Senza sanzioni, come d'altronde stabilito dal Tribunale di Madrid, ma anche senza strascichi, almeno per le società. Per i dirigenti che ci hanno messo la faccia (da Agnelli a Perez) resta tutto da vedere. Terminato in 48 ore il tentativo di farsi un campionato tutto loro, i dodici club coinvolti nel progetto proveranno a far finta che non sia successo nulla. Anche nella Uefa, probabilmente, si andrà per questa strada, stando a quanto dichiarato da uno dei vicepresidenti del comitato esecutivo, Karl-Erik Nilsson, a Fotbollskanalen: «Hanno già avuto conseguenze con la vergogna che proveranno». Poi ha aggiunto: «Ci saranno conseguenze nelle loro stesse federazioni», anche se nel caso dell’Italia, il presidente federale Gravina ha escluso sanzioni per Inter, Juventus e Milan. «Se dovessero esserci ulteriori conseguenze – conclude Nilsson – avremo bisogno di discuterne». Di certo, le condizioni economiche di gran parte di queste società sono a dir poco preoccupanti e i rapporti con le federazioni andranno ricuciti, non senza difficoltà. È il primo punto, però, a lasciare ancora parecchie domande inevase. Perché tra perdite operative vicine al miliardo e mezzo di euro e un indebitamento complessivo per sei miliardi, immaginare un dietrofront dei ribelli scatenato dalla sola protesta dei tifosi appare fin troppo semplice.

Le minacce di governi, federazioni e sponsor ai club della Superlega

Il golpe è fallito, ma la Uefa come reagirà? È questa la domanda che attanaglia il calcio europeo, all'indomani del clamoroso dietrofront della Superlega. Una levata di scudi da parte dei tifosi può aver mai convinto le dodici società a cambiare idea? No, o almeno, non è questo che ha spaventato i club inglesi, i primi ad aver ufficialmente fatto un passo indietro. L'opinione pubblica ha giocato un ruolo non di poco conto, come dimostrano le reazioni dei supporter di Chelsea, Liverpool, Manchester City e Arsenal (con tanto di scuse ufficiali da parte del club londinese), non però pari a quello degli sponsor. Come Tribus, marchio svizzero in ascesa nel mercato degli orologi, che ha annunciato di «non potere sostenere la mossa dei proprietari del club di passare ad una nuova competizione». Le pressioni maggiori, però, sono arrivate da Boris Johnson e dal governo, con la minaccia di una «bomba legislativa» che avrebbe potuto portare a tassazioni straordinarie per contrastare quello che lo stesso primo ministro non ha esitato a definire un «cartello tra i club». Il rischio di dover dilapidare i possibili ricavi della Superlega in imposte extra ha raffreddato gli entusiasmi delle "big six", alla seconda porta in faccia nel giro di pochi mesi dopo il fallimento del Project Big Picture.

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Perse sei delle dodici componenti, non sono rimaste alternative al naufragio. Infatti, nel giro delle successive ore, il muro si è sgretolato inesorabilmente, perdendo anche quelle società che non avevano sul collo il fiato delle istituzioni governative. Lo avevano, però, da parte delle rispettive leghe. In Italia, in verità, soltanto a suon di interviste e comunicati (quello che la Roma, quotata in Borsa, non si è potuta esimere dal pubblicare, essendo stata menzionata da Florentino Perez come possibile club da invitare in futuro). In Spagna, invece, la Liga ha subito fatto circolare tra le altre 17 società due documenti di importanza capitale. Nel primo, ha stimato una perdita di ricavi del 43%, pari circa 1,7 miliardi di euro, con un possibile impatto negativo per quasi 60 mila lavoratori. Il secondo, invece, è già un programma dal titolo: «Argumentario vs declaraciones de Florentino Perez» e non è necessario parlare spagnolo per capire di cosa si tratti. Una smentita punto su punto a tutte le argomentazioni poste dal presidente del Real Madrid nella sua intervista a El Chiringuito, con la quale dava per morto l’intero sistema calcistico in vista del 2024.

Le possibili proposte della Uefa per convincere i club

Ma proprio perché le dodici della Superlega non credono di poter sopravvivere entro il 2024, cosa è stato messo sul piatto per farle tornare sui loro passi? Le differenze tra il torneo che avevano proposto le big e la Champions League erano più che evidenti, se si considerano i ricavi previsti dalla partecipazione: la massima competizione Uefa, nella migliore delle ipotesi, può fruttare tra i 100 e i 120 milioni di euro (nel 2019, il Barcellona ha portato a casa 117,7 milioni senza vincere il torneo) contro i 350 milioni di base assicurati dalla Superlega. Inoltre, dal 2024, la Champions League cambierà formato con l’inclusione di un numero maggiore di squadre, da 32 a 36. Senza dimenticare che a settembre, stando a quanto riportato dal Times, la Uefa ha informato i club della necessità di tagliare i premi previsti per il cammino nelle competizioni continentali, a causa di perdite per circa 600 milioni in piena pandemia. Perdite destinate ad aumentare, con una riduzione dei premi stimata del 4%.

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A queste condizioni, è chiaro che la Champions League sia una soluzione poco remunerativa. E se la Uefa avesse in mano un altro asso? Così parrebbe essere, secondo quanto scritto da Bloomberg, in merito ad una trattativa col fondo Centricus per un investimento da 6 miliardi di euro. Una cifra che avvicinerebbe la realtà economica attuale del calcio europeo a quella progettata dai 12 club della Superlega, pur mancando ancora dei paletti. Ma se dovesse esserci questo accordo, la base sarebbe già pronta. Per il resto, bisognerebbe solo giungere a compromessi. Uno su tutti, quello sulle condizioni di accesso alla Champions League. Nell'ultimo decennio, le "dissidenti" hanno avuto a disposizione 100 posti (quattro per le sei inglesi, più le tre spagnole e italiane, moltiplicati per dieci anni) e se ne sono accaparrati 83. Numeri da Superlega, ma evidentemente non bastano. Soprattutto per le inglesi, che in questo periodo hanno sempre mandato in Champions le loro "big six" ad eccezione del Leicester di Ranieri. La nuova Champions lascia aperta la possibilità che tutte e sei possano prendere parte al torneo: verranno infatti riservati due posti ai «club con i coefficienti più alti che non si sono qualificati direttamente per la fase campionato di Champions League». E chi sarebbe agevolato da questa novità? Proprio loro, le ribelli della Superlega, i cui coefficienti sono indubbiamente superiori rispetto alla concorrenza.

Qual è la vera ricchezza dei club della Super Lega

La Champions League, che per com'è concepita è – sportivamente ed economicamente – una Superlega, potrebbe dunque diventare il piano B di queste società. Ma è il sistema stesso ad aver causato la scissione, perché è diventato da anni un sistema insostenibile, come dimostrano i debiti dei club che hanno voltato le spalle alla Uefa. Il fair play finanziario, in questa fase di crisi aggravata dal Covid-19, sta per finire in soffitta, però è inevitabile che vengano introdotti altri sistemi di controllo delle spese. Il salary cap, che sarebbe dovuta essere una novità della Superlega, potrebbe far capolino nel calcio europeo ad alti livelli. Le nuove normative sugli agenti, con un tribunale Fifa da istituire in estate e compensi a percentuale fissa da gennaio 2022, dovrebbero ridurre ulteriormente i costi. Condizionale d'obbligo, perché chiaramente è tutto ancora da vedere.

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Intanto, il calcio europeo vede scongiurato il rischio di un terremoto. Ciò che non cambia è lo status di quelle dodici società, i cui fatturati sono pari al 22% di quelli di tutti i 679 club di area Uefa. Quasi un quarto della ricchezza del calcio europeo è nelle loro mani: 6,4 miliardi di euro su 28,9 miliardi di ricavi operativi dell’intero calcio europeo nel 2019, stando ai dati raccolti da Deloitte. Un'élite nell'élite, perché da sole rappresentano il 38% dei fatturati delle top five leagues, le leghe più ricche del mondo. Ricchi che volevano arricchirsi ulteriormente, promettendo un contributo di solidarietà pari a 10 miliardi di euro, senza specificare in quanti anni sarebbe stato versato e a quali club sarebbe stato distribuito, considerando inoltre che alcuni club sono controllati da loro stessi: la rete del City Football Group è solo un esempio cristallino, rispetto ad altri meno visibili. Ma questa, almeno per ora, è una storia che appartiene al passato. Ora la palla passa di nuovo alla Uefa e vedremo se anche a Nyon hanno avuto argomenti convincenti per smontare la Superlega.

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