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Cosa fa di un arbitro un grande arbitro: Pierluigi Collina, tra follia e autogiudizio

Follia, studio, conoscenza del contesto, protagonismo positivo e autogiudizio, oltre a una perfetta forma fisica. Sono questi i comandamenti che Pierluigi Collina ci ha mostrato e lasciato per costruire un grande arbitro. Nella sua carriera ha vissuto tanti momenti epocali e polemiche infuocate, ma ha sempre condotto il suo lavoro seguendo principi netti e severi, diventando l’arbitro che ha porta il calcio verso il futuro.
A cura di Jvan Sica
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Ma se un calciatore si vede dal coraggio, dall'altruismo, dalla fantasia, per citare il poeta, da cosa si può vedere un grande arbitro?
Tantissimi ancora oggi, a 17 anni dalla sua ultima partita, continuano a dire che più ci si avvicina a Pierluigi Collina più si è grandi arbitri, nonostante o proprio per le polemiche e le tante piccole e grandi storie di calcio che lo hanno accompagnato durante la sua carriera. Ma quali sono queste caratteristiche lo fanno ancora così grande e rispettato?

Prima di tutto quella dose di follia che serve nel guidare 22 milionari a rispettare delle regole stringenti. E questa frase detta poco prima di appendere il fischietto al chiodo, lo spiega:

“Senza un pizzico di follia non ci si mette a rischio in maniera così elevata”.

Se si fa bene il proprio lavoro si è inesistenti, davvero il tornaconto più misero mai visto. Si può solo uscire male dall’arbitraggio di una partita di calcio e per questo si deve essere un po’ pazzi per volerlo fare. L’arbitro poi per tutti dovrebbe essere una sorta di perito che arriva su un campo di calcio e giudica senza mai aver visto né aver avuto contatti con chi gioca. Dovrebbe essere una figura asettica, che durante la settimana si allena e gioca a ramino tutto il giorno, per poi mettersi in pantaloncini e giudicare dall’alto di una neutralità assoluta e candida. Pierluigi Collina, invece pensava che:

“Ci sono arbitri che preferiscono non sapere niente della partita. È un errore colossale. Io entravo in campo cercando di avere il massimo delle informazioni possibili sui protagonisti”.

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Il grande arbitro conosce ogni dettaglio di chi scende in campo, sia da un punto di vista caratteriale che fisico. Solo così saprà comprenderlo e guidarlo nel comportamento che deve tenere. E poi deve anche stargli dieto mentre corre a 30 all’ora verso la porta, non una cosa che si fa con nonchalance. L’arbitro non solo deve conoscere gli uomini con cui si ha a che fare in campo,  deve sapere tutto anche di quelli in panchina, perché anche loro influiscono in maniera determinante su una conduzione di gara. E non si parla solo di accordatura emotiva con chi è più o meno incazzoso, ma anche di quello che la sua testa ha messo in campo per quella circostanza.

“Preparando bene la partita e conoscendo gli schemi delle squadre, le caratteristiche dei giocatori, si riesce quasi sempre a trovarsi nelle migliori condizioni per giudicare e decidere”.

E poi il protagonismo. Non si può parlare di Collina e non tirare in ballo il fatto che emergeva ed emerge ancora oggi come uno dei più grandi arbitri della storia perché vedevi che c’era, non solo per una questione somatica, ma anche perché voleva che la presenza dell’arbitro fosse avvertita da tutti, in campo ma anche fuori, attraverso l’intermediazione mediale. Ma cos’era il protagonismo di Collina? Tanti dicono che era voglia di prezzemolismo calcistico, quello quasi inutile che fa solo danni. L’essere protagonista per Pierluigi Collina invece voleva dire prendere decisioni nette, completamente dipese da regole che possono essere interpretabili ma restano scritte e per questo poco modellabili a piacimento. Proprio in questo senso infatti, diceva spesso:

“L'espulsione è una piccola sconfitta. Non c'è nessuna libido nel tirare fuori il cartellino rosso”.

Sottolineava così come il protagonismo del decidere le partite è una cosa completamente diversa dal protagonismo dell’applicazione della regola. In Italia stranamente ci sembra una cosa assurda e infatti lo abbiamo massacrato durante i suoi anni. Ma Collina è stato anche uno dei primi arbitri che ha ammesso di aver sbagliato o di aver preso una decisione personale, quando le stesse regole scritte e ferree chiedevano una sua interpretazione. La frase più interessante detta da lui stesso è:

“Chi non accetta il giudizio degli altri limita la possibilità di migliorarsi”.

Vale per i calciatori che sono giudicati sotto decine di punti di vista per ogni piccolissima azione che compiono, ma Collina parlava anche degli arbitri stessi, i quali devono essere capaci di sopportare il giudizio altrui, ma addirittura di sviluppare un autogiudizio, primo passo per un miglioramento costante che può far diventare un arbitro di talento un grande arbitro.

Ecco quindi gli ingredienti: follia, studio, conoscenza del contesto, protagonismo positivo e autogiudizio. Difficile trovarli in tutti gli arbitri e mescolarli bene per non creare strani incastri. Collina nella sua carriera ci è riuscito alla perfezione e adesso tocca agli altri comprendere come miscelare il tutto, unendo gli ingredienti anche alla sapiente gestione tecnologica. Non è un lavoro facile, ma qualcuno deve pur farlo.

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