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Cosa deve fare l’Inter per battere il Porto, camaleonte fluido della Champions

Partita difficile dell’Inter, che dovrà scegliere tra sicurezze e scommesse, contro il Porto, una squadra capace di cambiare pelle in ogni partita.
A cura di Jvan Sica
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Partita difficilissima per l’Inter di Simone Inzaghi che in questa doppia sfida degli ottavi di finale di Champions League contro il Porto si gioca buona parte del futuro della stagione, oltre che un gruzzoletto di guadagni che fanno gola a un club obbligato ad autofinanziarsi per vivere (poi non resta che vendere quasi tutti i pezzi migliori).

Quello che più di tutto fa pensare in queste ore Inzaghi è la scelta degli uomini. All’inizio della stagione, la spina dorsale della squadra era composta da Handanovic, Stefan de Vrij, Brozovic e Lukaku. Questi quattro uomini che erano il cuore e il cervello dell’Inter oggi sono tutti a disposizione, ma in questi mesi o non hanno giocato, per infortuni e scelta tecnica, oppure hanno giocato male, soprattutto per stati di forma mai completamente al 100%.

Senza di loro Inzaghi ha saputo utilizzare il materiale umano scelto in estate, con bravura e sapienza, ma ora si trova nel momento clou della stagione e deve decidere se è il caso di insistere su Onana, Acerbi, Çalhanoğlu e Dzeko. La scelta non è facile e magari alla fine si opterà per una sorta di mix vecchio-nuovo, ma il Porto di sicuro non aspetta e soprattutto non si strugge per quello che accade in casa Inter.

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Il Porto di Conceição gioca con il modulo più classico che ci sia, il 4-4-2, ma il tecnico riesce a farlo muovere sul campo nella maniera più fluida e difficile da controllare possibile. Se c’è un concetto infatti che potrebbe marchiare l’idea di calcio di Sergio Conceição è proprio quello della fluidità. Per quel che riguarda lo schieramento, ci sono due nomi inamovibili nel Porto: il primo è quello di Pepe, 40 anni il 26 febbraio che ha appena dichiarato alla stampa portoghese di voler rinnovare perché non vede nessuno migliore di lui nella sua squadra. L’altro nome è meno conosciuto ma è il punto dell’equilibrio dell’intero assetto, Mateus Uribe, uomo ovunque di una squadra che segue questi due leader in ogni attimo della partita.

Insieme ai due santoni, nomi forti, come il portiere titolare della Nazionale portoghese, Diogo Costa, Marko Grujić, mezzala serba in cui hanno creduto tutti, a partire da Klopp che lo volle e lo ha tenuto tanti anni con sé al Liverpool. Quello però prometteva il centrocampista non sempre ha dimostrato per colpa anche di una discontinuità che negli ultimi anni sembra aver messo a posto. Infine poi altro nome sicuro, Mehdi Taremi, il centravanti iraniano che nel gioco di Conceição adesso fa quello che per anni ha fatto Moussa Marega, calciatore capace di fare tanto male anche alle squadre italiane (negli ultimi quattro anni il Porto ha estromesso dalla Champions sia la Roma che la Juve).

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Per fortuna dell’Inter, anche se è dannoso per gli amanti del calcio, manca il calciatore più talentuoso e appetibile dai grandi club, soprattutto della Premier League, Otávio, un calciatore che fa tantissime cose in campo e che come Uribe è sempre presente in ogni momento del match.

E poi, come sempre nella tradizione del Porto, i giovani, da rivendere al miglior offerente il prima possibile. João Mário, esterno destro del 2000 e Gonçalo Borges, attaccante esterno molto estroso come da “fabbrica sempre aperta” del talento portoghese. Tra gli sviluppi tattici che Conceição può proporre c’è anche la possibilità di passare da 4 a 3 a centrocampo, facendo salire un esterno di centrocampo e farlo giocare in una posizione di punta. Era un po’ quello che “El Tecatito” Corona sapeva fare alla perfezione. Il messicano è passato al Siviglia ma i giovani hanno imparato da lui, nascendo calcisticamente già con quell’idea di flessibilità estrema che fa pericoloso il Porto di Sergio Conceição.

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