Conte pianta una quercia per l’amico Ventrone nel campo d’allenamento: “Per sempre nei nostri cuori”
Spalare il terreno per riempire il solco deve essere stato difficile. Antonio Conte lo ha fatto con gli occhi lucidi, il cuore in subbuglio e il pensiero che va a Gian Piero Ventrone, morto di leucemia fulminante. Al campo di allenamento del Tottenham la squadra e lo staff tecnico sono riuniti intorno alla quercia sempreverde italiana piantata nei pressi del terreno di gioco. Prima della sessione di lavoro hanno osservato un minuto di silenzio, sessanta secondi con un groppo in gola, durante i quali in mente ti viene di tutto.
È stato un rito simbolico, un gesto carico d'affetto per ricordare il preparatore atletico e l'amico che l'ex juventino aveva voluto ancora con sé nella sua esperienza londinese. Ne aveva ‘conosciuto' i metodi da giocatore (in bianconero) e ha fatto sì che dal Bari fino agli Spurs fosse accanto a lui per preparare corpo e spirito delle squadre. Dovevano essere pronti a dare tutto e anche di più, oltre i loro limiti. "Mi ha spinto a superare le mie reali possibilità", è l'affermazione che torna più volte nelle frasi usate dal tecnico salentino per parlare del suo collaboratore.
Ventrone sbarcava come un marines sopra i loro muscoli. Entrava nella testa e nell'anima. Non era solo questione di gambe ma di raggiungere quel livello di consapevolezza dei propri mezzi e forza psicologica tali da essere martellanti e instancabili in partita. Mai mollare. Improvvisare (perché durante un match può accadere di tutto), adattarsi e raggiungere l'obiettivo. Ce n'era abbastanza per completare quella scuola di sopravvivenza applicata al calcio.
Il dolore s'è sciolto in lacrime ai funerali celebrati nei giorni scorsi nella chiesa di San Luigi Gonzaga a Napoli. Prima del match di campionato col Brighton i calciatori hanno indossato una maglietta che recava un messaggio simbolico ("per sempre nei nostri cuori" le parole dedicate a Ventrone). Struggente anche il minuto di raccoglimento osservato a pochi istanti dal fischio d'inizio, con le telecamere che hanno indugiato sui volti dei giocatori e in particolare su Antonio Conte.
Riusciva a stento a trattenere le lacrime e a un certo punto, seduto nella sua postazione in panchina, ha nascosto la faccia tra le mani e ha sbuffato. Era devastato e sopraffatto dalle emozioni. Certe cose ti scavano dentro, quel che resta è un profondo senso di malinconia. E con essa anche l'esempio e gli insegnamenti più preziosi: "L'hanno apprezzato perché era un grande lavoratore e, per me, uno scienziato nel suo mestiere". Tutto si dissolve, non tutto va perduto.