Esonerare Antonio Conte costa troppo. Tenerlo in questa situazione di costante tregua armata è impensabile. L'Inter non ha intenzione di fare né l'una né l'altra cosa. Tantomeno prendere decisioni clamorose dopo appena una stagione rispetto al piano triennale che è iniziato con grande entusiasmo e investimenti ma adesso – a luna di miele finita – ha preso una piega diversa. Ingaggiare una battaglia legale che porti al licenziamento per giusta causa è un'ipotesi presa in esame ma accantonata lasciando spazio alla diplomazia più che alla repressione d'impulso. La telefonata tra il tecnico e il presidente Steven Zhang dopo lo sfogo in diretta tv ha solo fermato il timer, non disinnescato la bomba. C'è ancora l'Europa League da affrontare e, magari, vincere così da evitare un finale da "zero tituli".
Ecco perché, al momento, è convenuto alle parti siglare una pace di facciata: la società ha la possibilità di ripianare il dissenso e sfumare il malessere dell'allenatore, evitando decisioni affrettate, pericolose e onerose; il tecnico può alzare un trofeo e dare maggiore peso alla propria posizione quando arriverà il momento di guardarsi in faccia, tirare le somme e dirsi tutto, se procedere insieme oppure separarsi. Fuori dalla Champions ai gironi. Fuori dalla Coppa Italia. Secondo in campionato a -1 dalla Juventus (contro la quale ha perso punti pesanti sia a San Siro sia a Torino) ma non è un vanto per tante ragioni pre e post pandemia (compresi risultati altalenanti e rimonte shock subite). A Conte resta la coppa di un dio minore per mettere la sordina (anche) a quello che José Mourinho definì il rumore dei nemici. Secondo la sua versione dei fatti, sarebbero addirittura in casa e lo avrebbero spinto a uscire allo scoperto dopo la gara contro l'Atalanta.
Una premessa è d'obbligo e spiega la portata dello scontro: rinfacciare ai tuoi dirigenti la debolezza "fuori dal campo" e fare riferimento continuo, quasi in maniera ossessiva, al modello bianconero non è un buon modo per rapportarsi con chi ti paga uno stipendio da circa 12 milioni netti; chiamare in causa, e farlo in pubblico senza opportunità di contraddittorio, la "proprietà che sta in Cina" (Zhang Jindong a capo del Gruppo Suning) è sia una palese mancanza di rispetto nei confronti dell'attuale numero uno (Steven Zhang) derubricato a ‘figlio di papà che conta poco' sia nei confronti dei collaboratori scelti per l'assetto dirigenziale (l'ad Giuseppe Marotta, il ds Piero Ausilio).
Quali sono le ragioni di Conte? Cosa c'è dietro questo attacco a viso aperto? Con chi ce l'ha l'ex ct quando prende in prestito le parole di Spalletti, rievoca voci di dentro e si dice poco protetto? Il nodo è tutto nel blocco monolitico che vorrebbe intorno a sé a mo' di falange: la squadra è dalla sua parte, se c'è una cosa che non va è nell'attuale compagine dirigenziale alla quale addebita una serie di contestazioni.
- Mancata protezione a livello mediatico. "Io ci metto la faccia fino a un certo punto… il parafulmine si fa il primo anno". È così che Conte ha sbuffato dinanzi ai microfoni quando ha rinfacciato alla dirigenza di essersi sentito solo, lasciato solo, nel momento più difficile della stagione. Una situazione che – a suo dire – avrebbe minato anche il rapporto di fiducia con la squadra.
- Piano rinforzi non all'altezza delle ambizioni. "Pacchetto preconfezionato". È la definizione che Conte ha dato alle scelte di mercato che avrebbe subito (vedi Eriksen, mai gradito del tutto) rispetto a indicazioni differenti. Insomma, s'è dovuto accontentare nonostante fossero altre le premesse (e lo promesse). Avrebbe voluto (e vorrebbe) Vidal, è riuscito a ottenere per il rotto della cuffia solo Lukaku.
- Dalla Cina all'Italia con furore. Rapporto diretto con il presidente: ecco cosa cerca Conte che salta a pie' pari i quadri del club e, al tempo stesso, chiede al numero uno di stare un po' più vicino a lui e alla squadra, a farsi sentire nel palazzo, ad aumentare il proprio peso politico. Riflessione che non fa una piega ma andrebbe ricordata al tecnico la polemica fortissima tra Steven Zhang e il numero uno della Lega di Serie A, Paolo Dal Pino. Lo chiamò "pagliaccio" per le decisioni assunte prima che la diffusione dei contagi fermasse il calcio e tutto lo sport.
- Marciare compatti ma con altri referenti. Per farlo Conte chiede al presidente che la squadra di collaboratori in dirigenza lavori con lui all'unisono. Vuole altro… persone che siano disposte ad assecondarlo e a gettarsi in trincea assieme a lui, persone che siano in grado di farsi valere nella stanza dei bottoni. Ricordate la sortita sul calendario penalizzante? Anche quello sarebbe un segno di debolezza dell'attuale vertice in seno alla Lega nonostante la presenza in consiglio di ben 2 rappresentanti nerazzurri (lo stesso Marotta e Alessandro Antonello).
Cosa accadrà? Non bisognerà attendere ancora molto. Due settimane al massimo e si capirà quale sarà il futuro di Antonio Conte: se ancora all'Inter oppure altrove – previo separazione consensuale e non troppo esosa – mentre sullo sfondo c'è la figura di Massimiliano Allegri che ne prese il posto a Torino. Accadde nell'estate dell'addio a luglio per divergenze su budget e scelte di mercato. Otto anni dopo il copione e "il ristorante da 10 euro" sembrano gli stessi. Lo sarà anche il finale?