Come sarà il Barcellona di domani (senza Messi): identità e respiro olandese
In maglietta, ciabatte e una faccia sciatta che non promette niente di buono, Lionel Messi ha dichiarato di volere/dovere restare a Barcellona per motivi soprattutto economico-legali che poco hanno a che fare con il calcio da dover giocare poi in campo. Il calciatore argentino ha ribadito che non ha nessuna stima per la dirigenza, che non vede nessun progetto decente all’orizzonte, sia da un punto di vista tecnico che aziendale e il suo mood esprimeva il fastidio per dovere vivere ancora un anno con quella maglia addosso.Sarà pure il miglior calciatore al mondo, l’uomo che da solo impersonifica la squadra su tutti i mercati globali, ma a queste condizioni ha senso tenerlo in squadra?
Il decadimento del Barcellona
Il Barcellona fino a cinque anni fa era davanti di parecchi secondi nella gara fra i top team spagnoli ed europei. Magari poteva saltare un giro per quel che riguardava la vittoria della Champions League, ma nessuno ancora aveva raggiunto la perfezione tattica di alcune sue fasi, essendo ormai il riferimento numero uno del Juego de Posición, la sua forza di marketing, dal momento che il Manchester United scendeva velocemente gradini nella scala della fama e della riconoscibilità planetaria, la sua potenza aziendale, con il suo modello che anche in questo caso faceva scuola.
Invece di accelerare ancora, perché nel mondo e nel calcio contemporaneo è obbligatorio per restare in testa, il Barcellona ha rallentato, perdendo il campione del suo futuro, Neymar, scegliendo allenatori che non hanno saputo ripartire dalla didattica guardiolana per aumentare velocità e verticalità del gioco, facendo orribili scelte di mercato (Ousmane Dembélé preso a 105 milioni di euro più bonus è stato sempre una follia, anche quando il calciatore ha giocato qualche buona partita) e riuscendo a costruirsi un’immagine di squadra decadente, appesa al suo idolo sempre più spazientito, che per tutti ormai fagocita gli altri campioni (Coutinho, Griezmann) sull’altare della sua grandezza tecnica e della sua anarchia tattica. Il Barcellona ha chiesto tutto a Messi ed è giusta la sua critica nel non capire che bisognava costruire tutto il resto sulla sua isola e non lasciarla inabitata.
Queste fasi di ricostruzione, anche se sono storicamente meno dinamiche rispetto agli sport americani per portare un esempio più puro, sono sempre esistite e nel corso degli anni tutte le grandi società che dominano da decenni lo scenario europeo hanno avuto bisogno di ricominciare. Chi è riuscito a riaccelerare subito lo ha fatto grazie ad un’identità forte e il Barcellona sembra avere questa volta capito che il dopo-Messi è d’obbligo ed è urgente.
Il campione deve restare almeno un altro anno per i motivi più disparati, non ultimo quello di permettere ad una corrente di lottare con qualche possibilità nelle elezioni prossime, ma già il ricorrere alla propria identità specifica che va oltre Messi si intuisce.
Respiro olandese
L’anima del Barcellona è cambiata e si è sedimentata in aeternum nel 1971 quando arriva in sede un certo Marinus Jacobus Hendricus Michels, detto Rinus. Dopo aver costruito e portato al massimo alloro europeo l’Ajax, decide di ripartire nella fondazione valoriale, tecnica e tattica di una squadra non olandese, il Barcellona appunto. Dopo poco lo raggiunge il “suo” campione, Johan Cruijff, l’anno dopo Johan Neeskens e quel seme gettato nel campo diventa albero-emblema della storia radicata che sempre ricomincia.
Su quel respiro olandese, se vogliamo chiamare così tutta una serie di idee e valori su cui si sono da quel momento basate la squadra, la società, l’ambiente e la proposizione identitaria del Barça, tutti sembrano di nuovo sintonizzarsi, scegliendo Ronald Koeman come allenatore, il quale dovrà dare centralità assoluta a Frenkie de Jong e avendo come obiettivi di mercato Memphis Depay, Georgino Wijnaldum e Mohamed Ihattaren.
Lo stesso sgretolamento per evidenti limiti di età sta avvenendo anche in altri contesti, in casa Juve se guardiamo al nostro calcio. Anche in questo caso le scelte migliori non sono quelle a breve termine, per riuscire a massimizzare un presunto potenziale temporaneo, ma quelle identitarie, di tradizione, quelle che fanno inserire la squadra del presente e soprattutto del futuro in un solco ben tracciato. Oggi guardiamo al Barcellona come un edificio esploso e in frantumi. A breve potremmo riconsiderarlo ancora quel meraviglioso progetto architettonico che ha un’anima e un futuro anche senza Messi.