Come ha fatto D’Onofrio a diventare procuratore capo degli arbitri con un passato di fatti inquietanti
La malavita che commercia e fa soldi con gli stupefacenti conosceva Rosario D'Onofrio, l'uomo a capo della Procura dell'Aia dal 2021, il magistrato che avrebbe dovuto indagare su eventuali illeciti o irregolarità commessi dagli arbitri, con il soprannome iconico di "Rambo". Se c'era bisogno di usare il "ferro" – la pistola, come si dice in gergo criminale – lui sapeva cosa fare. Se c'erano qualche intoppo o qualcuno che si metteva di traverso ci avrebbe pensato lui a risolvere la situazione con le buone o con le cattive maniere, ricorrendo anche a metodi persuasivi tanto spicci quanto severi.
Le indagini della Direzione Distrettuale Antimafia milanese hanno portato a lui, 42enne, ex militare (sospeso dal servizio per motivi disciplinari) arrestato quattro giorni fa dalla Guardia di Finanza con accuse gravissime, per il ruolo che ricopriva all'interno dell'organizzazione di una banda che gestiva il traffico internazionale di droga dalla Spagna.
"Era in gamba di brutto… sapeva cosa faceva", sono le parole di uno dei capi, Daniele Giannetto, che commentava l'efficacia e la risolutezza degli interventi di D'Onofrio. "Dice che se lo prende lo tortura con la corrente", è quanto emerso dall'analisi di una chat segreta nella quale i protagonisti della vicenda si scambiavano messaggi e riflessioni. E ancora: "Tanto prima o poi lo prendiamo… dovevo ammazzarlo quel giorno, invece mi sono fatto prendere dal dispiacere… stava morendo… mi ha detto Rambo che si è fermato solo per te". Sarà lo stesso "Rambo" a confermare poco dopo che al malcapitato era stata impartita una bella lezione: "Non puoi immaginare quante gliene ho date".
Era D'Onofrio secondo la tesi degli inquirenti, "la persona incaricata anche di organizzare la parte logistica delle importazioni di stupefacente e tra queste attività di reperire luoghi ove poter effettuare lo scarico ‘in sicurezza' dei bancali all'interno dei quali era contenuto lo stupefacente".
Nella ricostruzione fatta dalle autorità sui gangli, i contatti, la promiscuità dei flussi indiscriminati e la struttura del gruppo di malviventi è sembrato molto più di un ‘semplice' corriere. Si occupava dello smistamento della merce al dettaglio, della consegna di somme di denaro molto importanti nelle mani di chi quei soldi li avrebbe ripuliti e poi lo accompagnava la fama di persona affidabile abbastanza da chiamare anche per occuparsi delle circostanze più fastidiose o scabrose.
A leggere le intercettazioni si resta di stucco. Il presidente della Federcalcio, Gabriele Gravina, ha convocato un consiglio d'urgenza per domani, martedì 15 novembre, così valutare le ripercussioni della vicenda sull'immagine e sulla credibilità della federazione stessa e dell'Associazione dei fischietti italiani. A maggio 2020 D'Onofrio era stato già arrestato dalle Fiamme Gialle perché trovato con 40 kg di marijuana vicino Linate. Restò in cella fino a settembre dello stesso anno poi passò ai domiciliari, beneficiando dei permessi del giudice di sorveglianza per partecipare alle riunioni di categoria.
Un anno dopo (a marzo 2021) sarebbe arrivato al vertice della Procura dell'Aia. A luglio scorso era stato addirittura insignito quale miglior dirigente col premio Concetto Lo Bello, un riconoscimento importante nell'ambito degli arbitri italiani. Il presidente, Alfredo Trentalange, ne ha raccolto le dimissioni con provvedimento d'urgenza ma la bomba gli è scoppiata in mano.
Com'è stato possibile che l'ufficiale medico allontanato dalle Forze Armate perché esercitava la professione senza aver mai conseguito la laurea sia arrivato così in alto? Nessuna sapeva o sospettava nulla, com'è possibile? Travolta dallo scandalo nei giorni scorsi l'Aia ha diffuso un comunicato nel quale, oltre a esprimere profondo stupore, si dice "vittima e indotta in errore con una gravissima e dolosa omissione di comunicazioni previste dal Regolamento associativo", della doppia vita e dei guai che D'Onofrio aveva tenuto nascosti. Avevano creduto alla sua buona fede, senza alcuna necessità di ricorrere a un'opera di verifica e di controllo di quanto dichiarato da uno degli associati.
D'Onofrio aveva mentito così bene da tenere celate le sue peripezie con la giustizia, da coprire in maniera dolosa quella identità parallela portata alla luce dalle indagini, da riuscire a godere di stima e rispetto tali fino a ottenere un'influenza così importante all'interno dell'associazione arbitrale.
Ne è convinto l'ex arbitro, Piero Giacomelli, prima sospeso e poi dismesso dalla Serie A per un'irregolarità contabile nei rimborsi spese di 71,40 euro. Aveva un peso tale da definirlo nell'intervista a Repubblica "il braccio armato che con i suoi provvedimenti decideva promozioni e dismissioni degli arbitri di Serie A e Serie B".
L'ex fischietto triestino ne parla anche come una sorta di "grimaldello politico" in grado con il suo operato di indirizzare e condizionare, nel bene e nel male, le carriere degli arbitri. Come? "Comminando sanzioni. Favorendo alcuni e punendone altri decideva a tavolino le classifiche di merito. Una dinamica che portata al tavolo politico per le elezioni delle cariche, poteva spostare i voti delle sezioni regionali premiate".