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Come funziona il Fair Play Finanziario e com’è cambiato dal 2011 a oggi

Nato da un’idea di Platini nel 2009, il fair play finanziario è uno strumento con cui la Uefa si è posta l’obiettivo di far centrare il pareggio di bilancio ai club. Tra i tentativi di aggirarlo e la severità delle limitazioni, questo strumento ha caratterizzato l’attività di alcune delle più importanti società europee.
A cura di Benedetto Giardina
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Per anni il fair play è stato il motto della Uefa sul gioco pulito, celebrato pure da una patch apposta sulle maglie delle nazionali e degli arbitri. Da un decennio a questa parte, invece, l'accostamento tra fair play e Uefa riguarda i conti delle società calcistiche. È attraverso il cosiddetto fair play finanziario che vengono monitorati i bilanci dei club, per evitare situazioni di squilibrio economico tra le partecipanti alle principali competizioni europee. Introdotto nel 2011 e modificato nel 2018, nel 2020 (a causa della pandemia di Covid-19) subirà ulteriori cambiamenti.

Il piano di regolamentazione dei conti per i club affiliati alla Uefa vene introdotto da Michel Platini, allora presidente del massimo organo calcistico europeo, nel 2009. Il Comitato esecutivo della Uefa, nel mese di settembre, promosse il progetto proposto dal dirigente francese, approvandolo nel 2010. In parole povere, "il fair play finanziario si propone di migliorare le condizioni finanziarie generali del calcio europeo", come scrive la stessa Uefa nelle FAQ al riguardo. Dal 2011, ovvero con l'entrata in vigore delle regolamentazioni, le squadre che accedono a competizioni continentali sotto l'egida della Uefa (dunque Champions League e Europa League) devono dimostrare di non avere debiti insoluti verso altri club, giocatori e autorità fiscali per tutta la stagione. Dal 2013, inoltre, è stato inserito il vincolo sul break-even, ovvero sul pareggio di bilancio.

Come funziona il fair play finanziario

Il requisito del pareggio di bilancio è alla base del funzionamento del fair play finanziario. In quest'ottica, viene inteso come differenza tra i cosiddetti ricavi rilevanti (costituiti da botteghino, diritti tv, attività commerciali, sponsorizzazioni, pubblicità, plusvalenze e operazioni di calciomercato, proventi finanziari e altri ricavi operativi) e i costi rilevanti (costi di beni e servizi, salari e stipendi, ammortamenti sui cartellini dei calciatori, acquisizioni temporanee, oneri finanziari e dividenti, altri costi operativi). Se tale differenza da risultato positivo o pari a zero, il club ottiene il rilascio della Licenza Uefa. Viene comunque accettata una soglia di "deviazione", che consente ai club di chiudere in perdita senza perdere la licenza: si può sforare di 5 milioni di euro nel triennio preso in considerazione, ma nel caso in cui la perdita venisse interamente coperta dal proprietario del club o da una parte correlata, la soglia può essere innalzata fino a 30 milioni di perdita aggregata nel triennio.

Controlli e sanzioni per chi viola il fair play finanziario

L'organo che monitora il raggiungimento degli obiettivi di bilancio da parte delle società appartenenti alla Uefa è l'Organo indipendente di Controllo Finanziario dei Club (meglio noto come CFCB, dall'inglese Club Financial Control Body). È composta da due camere: la Camera Investigativa, che si occupa della fase di monitoraggio e indagine e può anche proporre accordi transattivi, quali il settlement agreement, per concordare con i club che hanno violato i regolamenti un piano per il rientro nei parametri del fair play finanziario; e la Camera Aggiudicativa, che si occupa invece della fase di giudizio del procedimento ed è guidata dal presidente del CFCB, carica attualmente detenuta dal portoghese José Narciso da Cunha Rodrigues. Le sanzioni applicabili per le violazioni sul fair play finanziario vanno dall'avvertimento fino alla revoca dei titoli. Finora, gli interventi più noti hanno portato a multe (da distribuire ad altri club a titolo di solidarietà), trattenute degli introiti derivanti dalla partecipazione alle competizioni Uefa, limitazioni nelle rose o divieto di acquisizione di nuovi giocatori e, infine, la squalifica dalle competizioni europee in corso o future. Il Tribunale Abitrale dello Sport di Losanna è il foro competente per impugnare le decisioni assunte dal CFCB.

Le conseguenze del fair play finanziario e la riforma del 2018

Nel 2011, ovvero con l'introduzione del fair play finanziario, il risultato aggregato dell'intero calcio era negativo per 1,67 miliardi di euro. Da allora, è partita una scalata che ha portato nel 2017 al primo utile registrato dai club del vecchio continente, pari a 579 milioni di euro. Nel 2018, pur mantenendo un risultato positivo, l'utile è sceso a 140 milioni. In questo stesso anno, il Comitato Esecutivo della Uefa ha approvato alcune modifiche sui regolamenti relativi al fair play finanziario. È stato introdotto un principio di trasparenza che impone alle società la pubblicazione dell'ultimo bilancio revisionato per ottenere il rilascio della licenza, con il saldo dei pagamenti riferiti alle commissioni per procuratori calcistici o intermediari. Sono state inoltre aggiunte delle specifiche relative ai trasferimenti dei calciatori, per i quali va iscritto a bilancio il ricavo o costo da cessione, con distinzione per trasferimenti definitivi o a titolo temporaneo. Queste modifiche sono state effettuate per disciplinare alcune pratiche utilizzate per "diluire" nel tempo gli effetti delle operazioni di mercato: prestiti con diritti di riscatto facilmente attivabili (emblematico il caso Mbappé, preso in prestito dal Paris Saint-Germain con riscatto fissato a 180 milioni una volta raggiunta la salvezza), oppure trasferimenti tra cosiddette "parti correlate", ovvero club facenti riferimento alla stessa proprietà.

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Le sponsorizzazioni dubbie di Manchester City e Paris Saint-Germain

Ma di "parti correlate", in tema di fair play finanziario, si parla anche per ciò che riguarda le sponsorizzazioni, che possono avvenire tramite accordi con società che controllate dalla proprietà stessa del club. Per la Uefa sono legittime, a patto che riflettano "il giusto valore di ogni transazione", esattamente come per il trasferimento dei giocatori tra club appartenenti allo stesso proprietario. È il motivo per cui Paris Saint-Germain e Manchester City hanno ricorso ad un settlement agreement nel 2014, patteggiando una multa da 60 milioni più limitazioni nell'organico da registrare nelle competizioni europee, oltre all'obbligo del pareggio di bilancio, ma a poco più di un anno dall'accordo, la Uefa ha rivalutato il caso annullando le restrizioni relativa alla rosa, riducendo poi di due terzi l'ammontare della multa. Il Manchester City è andato nuovamente a giudizio di recente, ma la sentenza di squalifica dalle coppe per due stagioni è stata impugnata dinanzi al Tas di Losanna, che ha accolto il ricorso poiché i fatti, oltre a non essere provati (la Uefa si è basata sulle indiscrezioni di Football Leaks), erano già caduti in prescrizione.

Il fair play finanziario della Serie A

Di fair play finanziario, specialmente negli ultimi anni, se n'è parlato parecchio anche nel calcio italiano. Nel 2015, la Figc ha introdotto l'obbligo del pareggio di bilancio per evitare di incorrere in fallimenti come quello del Parma (e in questi cinque anni di fallimenti nelle leghe professionistiche se ne sono visti parecchi…) prevedendo però una deviazione accettabile pari al 25% della media del valore della produzione ottenuto nel triennio. Se una società fattura in media 100 milioni all'anno, può dunque permettersi di andare in perdita per 25 milioni complessivi nei tre anni presi in esame. In caso venga superata questa soglia, i soci potranno coprire la perdita con aumento di capitale, versamenti in conto futuro aumento di capitale o finanziamenti infruttiferi. Una norma decisamente più soft rispetto a quella prevista dalla Uefa, non a caso il fair play finanziario rappresenta un problema per chi si qualifica alle competizioni europee.

Nel 2015, Inter e Roma sono entrate in regime di settlement agreement per riequilibrare i conti, mentre nel 2019 il Milan, rivolgendosi al Tas di Losanna, ha concordato un "consent award" (un lodo arbitrale) per l'accettazione volontaria di un'esclusione di un anno dalle competizioni Uefa. Una strada intrapresa per cercare di rientrare nei parametri nel 2020, ma l'emergenza sanitaria potrebbe aver dato un'ulteriore mano ai rossoneri (e non solo): il periodo di monitoraggio è stato ridotto a soli due anni, estendendo però quello successivo su quattro esercizi e facendo slittare la valutazione sul 2020 di un anno, accorpata a quella del 2021 per neutralizzare l'impatto della pandemia sui bilanci delle società. Una boccata d'ossigeno anche per la Roma, che nella semestrale chiusa a fine febbraio ha registrato un passivo da 87 milioni di euro.

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