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Collina ha fischiato in ritardo la fine di una partita per scopi personali: “Volevo la certezza”

Pierluigi Collina svela di aver fischiato in ritardo la fine della finale dei Mondiali del 2002 per avere la certezza di avere il pallone in mano: “Per portarlo a casa con me”.
A cura di Paolo Fiorenza
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Pierluigi Collina a 64 anni è apprezzatissimo responsabile della Commissione Arbitrale della FIFA, ruolo che ricopre dal 2017. L'ex fischietto bolognese insomma è il numero uno degli arbitri mondiali, una bella soddisfazione non solo per lui ma anche per l'Italia. Il carisma di Collina è qualcosa che gli è sempre stato riconosciuto, in primis dai calciatori in campo. Per capirlo basta sentire l'aneddoto che racconta con una punta d'orgoglio, chiamando in causa l'ex attaccante di Juve, Lazio e nazionale Pierluigi Casiraghi: "Mi ricordo che una volta, due o tre settimane dopo una partita, mi arrivò a casa una foto in cui eravamo ritratti io e Casiraghi faccia a faccia. E non eravamo sereni. Ma la cosa buffa è che dietro c'erano due frasi scritte a mano da lui: ‘Anche se dalla foto non sembra, la stima è sempre tanta'. Fu bello".

Collina e la finale dei Mondiali del 2002: "Fischiai la fine in ritardo per avere la certezza di avere il pallone in mano"

Collina svela di aver fischiato in ritardo la fine di una partita per scopi personali, ovviamente senza alterarne in alcun modo l'esito finale: "Ho una collezione che potrebbe fare invidia a un museo del calcio. C'è il pallone della finale della Coppa del Mondo 2002: quel giorno ho fischiato la fine della partita con credo 13 o 14 secondi di ritardo, ininfluenti per il risultato, per avere la certezza che il pallone fosse fra le mie mani, per portarlo a casa con me. Alla premiazione, prima di ricevere la medaglia, una persona dell’organizzazione mi disse: ‘Pierluigi, se mi dai il pallone te lo tengo io'. Gli risposi: ‘Non ci penso neanche lontanamente, il pallone resta con me'. Nelle foto della cerimonia sono sempre con quel pallone in mano. Ho anche la maglia di Ronaldo, sempre della finale 2002: arrivò negli spogliatoi, me la diede dentro un sacchetto ancora sudata. E di quel giorno ho anche quella di Cafu. E di Hamann. Nello studio dove lavoro ci sono un po' di palloni, di magliette. A chi ama il calcio luccicherebbero gli occhi…".

Collina col pallone della finale sotto braccio al momento della premiazione
Collina col pallone della finale sotto braccio al momento della premiazione

Arbitro per sempre, questo traspare dalle parole di Collina, che pure si è ritirato ormai da quasi 20 anni: "Mi capita di sognare di arbitrare, perché a me piaceva: mi piaceva tantissimo. Il problema è che poi arriva il mattino. Se nei sogni espello qualcuno? Mai. L'espulsione, a differenza dell'immaginario collettivo, non è un momento di soddisfazione per l'arbitro. Io l'ho sempre vissuta come la partecipazione a una sconfitta, anche se non mia. L'espulsione è necessaria per mantenere il rispetto delle regole in campo. Ma a me è sempre dispiaciuto espellere".

Collina in campo quando arbitrava: autorevolezza e carisma
Collina in campo quando arbitrava: autorevolezza e carisma

L'alopecia a 24 anni: "I vertici hanno provato a farmi smettere di arbitrare"

Nell'intervista a Repubblica, l'ex fischietto emiliano racconta che i vertici arbitrali avevano pensato di farlo smettere per l'insorgere della sua alopecia: "Hanno provato a farmi smettere di arbitrare perché avevo perso tutti i capelli. Quando a 24 anni ho sofferto di alopecia totale, nel giro di due settimane ho perso tutte le forme pilifere e solo perché ero ‘bravino' ho continuato. I vertici arbitrali mi fermarono per ter mesi. Poi mi fecero un test: mi mandarono ad arbitrare una partita a Latina, uno stadio caldo, per vedere che effetto facessi alle persone. Sarò sempre grato a quel pubblico: a loro quel giorno non poteva fregare meno di avere un arbitro senza capelli. Ho pensato che quello stop fosse un'ingiustizia. Ma nello stesso periodo uno dei miei migliori amici stava facendo la chemio per un osteosarcoma. Eravamo entrambi senza capelli, ma il vero problema era il suo, non il mio".

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