Clodoaldo racconta Pelé a Fanpage.it: “Campione irripetibile e totale. Marcarlo era un incubo”
Tranquillamente isolato nella sua casa di Aracaju, sulle sponde dell'Atlantico, il 71enne Clodoaldo Tavares de Santana, da tutti conosciuto semplicemente come Clodoaldo, si sente lusingato al momento di dover lasciare la sua testimonianza in occasione degli 80 anni del "Rei Pelé, a cui auguro tanta salute e tanti altri compleanni". Il mediano che, tra Santos e nazionale brasiliana, ha condiviso durante otto anni lo spogliatoio e il campo da gioco con il calciatore brasiliano per eccellenza, riavvolge il nastro della sua carriera al fianco di Pelé per Fanpage.it
Lei arrivò alla prima squadra del Santos nel 1966, a 17 anni, l'età in cui Pelé vinceva il mondiale del 1958 in Svezia…
"È così. Ma già l'anno precedente, quando giocavo nelle riserve, mi era toccato marcarlo. Un incubo! Anche perché andava sempre via! Raramente riuscivo a fermarlo, e in alcuni casi quando entravo con decisione lui dopo mi diceva ‘tranquillo, ragazzino', ma sempre ridendo. Persino più tardi, quando nel 1980 ci sfidammo nel campionato nordamericano, mi avrebbe ricordato che la prima volta che mi affrontò mi aveva redarguito in quel modo…".
Com'era allenarsi con un idolo assoluto?
"Non ha mai fatto pesare la sua condizione di fuoriclasse. Pelé era un campione assoluto ma umile e vicino a noi tutti. Scherzava ma al contempo ci insegnava quali fossero i movimenti giusti e ci spiegava come poter migliorare. Io, inoltre, giocavo da mediano davanti alla difesa ed ero incaricato di lanciare lungo per lui, che doveva imbastire le azioni offensive. Ma all'inizio della mia carriera ci mettevo troppo tempo e lui mi gridava ‘ragazzino, più veloce questa palla‘. Io ero un adolescente e dovevo mettermi subito al servizio di un campione. Ci misi un po' ma alla fine lo conquistai".
Tanto che quattro anni dopo il debutto avrebbe giocato insieme a lui un intero mondiale…
"Ero l'unico centrocampista di tipo difensivo e dovevo mettermi ovviamente al servizio dei veterani. In quella squadra c'erano Jairzinho, Gerson, Tostao e Rivelino, tutti trequartisti offensivi, oltre ovviamente a Pelé, che faceva da centravanti, e a me toccava fare da frangiflutti davanti alla difesa. Inoltre ero il più giovane tra i titolari (20 anni, ndr), e fu un onore poter accompagnare quei fenomeni. Pelé, dal canto suo, non era cambiato: continuava a chiedere di sveltire la ripartenza appena recuperassi la palla…".
Nella finale di quel mondiale contro l'Italia Pelé segnò l'1-0 saltando in cielo. Come lo visse?
"Rimasi estasiato dal suo gesto atletico. Ero proprio in mezzo al campo e godevo di una vista privilegiata: notai come cross di Rivelino dalla sinistra non fosse pulitissimo, eppure Pelé andò in rete dopo un salto impressionante, qualcosa di impensabile… Non avevo mai visto qualcosa del genere, ma lui in quel mondiale era arrivato al top della condizione, al suo zenit".
Per questo tutti lo continuano a chiamare O Rei?
"Credo proprio di sì. Ci sono stati tanti giocatori strepitosi come Cruyff, Maradona, Ronaldo il Fenomeno, Ronaldinho, e oggi ci sono i vari Neymar, Messi e Cristiano Ronaldo. Ma Pelé era completo, sapeva fare tutto. Era una mezza punta che poteva giocare da centravanti, come faceva in nazionale, e segnava tantissimi gol. Era un atleta dotato di una grandissima velocità, di un'eccellente forza fisica e di una gran visione di gioco. In una partita per poco non fece gol da metà campo dopo il calcio d'inizio… aveva visto il portiere fuori dai pali prima ancora di giocare il pallone! E ho sempre pensato che avesse un terzo occhio dietro la nuca per come vedeva la porta anche stando di spalle. Era un calciatore completo. Totale".
Crede che avrebbe potuto giocare nel calcio di oggi?
"Assolutamente! Lui è stato il prototipo del calciatore moderno. Per me è stato un giocatore unico e irripetibile proprio per la sua completezza".
Una sua caratteristica da risaltare in assoluto?
"L'elevazione. Aveva un impulso unico nello stacco, anche se non va dimenticata la sua grande velocità con la palla al piede. Ma la sua grande dote umana era quella di essere una persona semplice che trasmetteva calma e fiducia a tutti".
In molti dicono che non avendo giocato in Europa non può essere definito come il migliore di sempre…
"Sbagliano perché con il Santos andavamo in tournée in Europa e vincevamo quasi sempre, competendo ad altissimi livelli contro le migliori squadre del continente. Pelé non aveva bisogno di giocare in Europa per dimostrare di essere il migliore. E ti dico di più, credo che lui avrebbe potuto giocare anche nel calcio di oggi. Nonostante fosse alto 1,73 era fortissimo fisicamente, molto rapido e sapeva giocare benissimo di testa. Con le strutture di alta qualità disponibili oggi avrebbe potuto mantenersi integro a livello fisico e con tutte le partite che si giocano rispetto ad allora avrebbe potuto tranquillamente fare più di 1000 gol".
In che ruolo avrebbe giocato oggi Pelé?
"Da numero 10 qual era. Da trequartista puro ma con libertà di movimento. Nessuno avrebbe potuto relegarlo sulla fascia, come si fa purtroppo con molti fantasisti oggigiorno. Era dotato di una tecnica da 10 puro, e di una panoramica di gioco molto amplia".
Un suo gol che ha visto da vicino e ricorda con piacere?
"Nel 1973 con il Santos perdevamo in casa per 0-2 contro la Portuguesa. Dopo l'intervallo scendemmo in campo trasformati e un gol di Mazinho e uno di Pelé ci portarono sul 2-2. Nel finale dell'incontro presi palla a centrocampo e feci un lancio di trenta metri cercando proprio lui, che stoppò di petto spalle alla porta e si girò calciando di sinistro un bolide imparabile. Mentre festeggiava il gol della rimonta venne a cercarmi e mi disse ‘sei migliorato eh‘, ricordandomi quando a inizio carriera ci mettevo troppo tempo a far ripartire l'azione (ride)".