Cinque obiezioni a Carlo Ancelotti (che non ha ancora cambiato il Napoli)
Il Napoli di Carlo Ancelotti si è arenato anche a Ferrara. In Italia, non si è quasi mai visto il Napoli sciolto e veloce che ha messo sotto il Liverpool, né la squadra con gli occhi della tigre capace di ridefinire una partita complicata a Salisburgo. Il Napoli italiano resta una squadra che galleggia, vivacchia nell'attesa di uno spunto, nella ricerca di un'identità. Spreca un'altra occasione, non approfitta dei pareggi di Juve e Inter e si allontana dall'Atalanta, avversaria mercoledì al San Paolo, che dilaga sull'Udinese e allunga a più tre sulla squadra di Ancelotti. E le sue responsabilità si vedono.
Il Napoli ora è l'anti-Atalanta
L'Europa, la musica della Champions League elevano la motivazione di tutti, dovunque. Il Napoli di coppa si libera, brilla di luce propria davanti all'obiettivo almeno del passaggio del turno, sfumato praticamente per un gol l'anno scorso in un girone con Liverpool e PSG. L'obiettivo sembra essere più sfumato in campionato. Nonostante gli arrivi dell'estate, probabilmente il colpo subito nell'ultima stagione della gestione Sarri ha lasciato il segno. I giocatori che hanno dato tutto, si sono spinti oltre i limiti e hanno comunque trovato un avversario più forte davanti sembrano più rassegnati, meno motivati. Ci provano, falliscono meglio e guardano altrove.
Gli azzurri hanno perso dieci punti in nove giornate. Fino all'anno scorso erano l'anti-Juventus, i primi rivali per lo scudetto. Adesso, contro i bianconeri che pure stanno cambiando pelle e hanno quattro punti in meno di un anno fa, sono diventati i rivali dell'Atalanta per uno degli ultimi posti in Champions League. Il Napoli evidentemente non può essere quello di Sarri, troppi uomini chiave di quella costruzione sono partiti, ma non sembra avere la forza per inseguire il cambiamento, almeno in Serie A. Perché in Europa le qualità attuali pagano sicuramente di più.
Troppi cambi di modulo
Per provare a invertire la rotta, Ancelotti ha cambiato faccia, volto, struttura al Napoli. La volontà iniziale, emersa nel precampionato con Verdi trequartista e nelle prime due partite della stagione, mirava a costruire un 4-2-3-1. Anche se, mancato il colpo James, il tecnico si è ritrovato senza un calciatore che potesse interpretare il ruolo: né Mertens, né Insigne né tanto meno Fabian Ruiz riescono a incidere in una posizione che richiede non solo coraggio, altruismo e fantasia, ma visione, dinamismo nello stretto, reazioni veloci e visione ampia. Il ritorno indietro al 4-3-3 di sarriana memoria ha messo in evidenza l'altro limite di un centrocampo con buoni incursori ma senza un playmaker da quando è partito Jorginho. Così, il 4-4-2 è diventato un'esigenza.
Molti dubbi, l'attacco perde certezze
Nelle ultime due partite l'attacco del Napoli si è retto sui gol di Milik, che si è evidentemente ripreso dopo gli errori di Genk. La trasferta in Belgio e il pareggio di Torino hanno fatto emergere incertezze non solo di esecuzione individuale. Nell secondo tempo contro i granata, ben organizzati da Mazzarri, il Napoli ha perso consapevolezza e certezze nonostante i cambi di modulo. Esperimenti che, soprattutto davanti, coinvolgono anche gli uomini, chiamati a rotazioni che spesso disorientano. Il nervosismo di Insigne nelle ultime settimane lo conferma. In questa ricerca affannosa ma involuta di una soluzione che possa sbloccare la situazione, ha aiutato Llorente, che ci ha messo del suo quando è stato mandato in campo. Molto meno l'ultima mossa, Elmas esterno alto contro la Spal. La pioggia di insufficienze nelle pagelle del giorno dopo raccontano di un giocatore che non sente la partita, non trova né posto né ritmo. "I risultati" ha detto Ancelotti, "ci daranno ragione".
Qual è il ruolo di Lozano?
Ancelotti non è ancora riuscito peraltro a trovare una collocazione a Hirving Lozano, passato da fenomeno dopo il gol alla Juventus a delusione della stagione: due estremi, due errori uguali per intensità e contrari per direzione. Il messicano è giocatore da progressione e spazi larghi. L'adattamento dall'Eredivisie olandese alla Serie A, se ne sta accorgendo anche De Ligt su cui pesa la responsabilità di un trasferimento monstre da 80 milioni, non è così elementare. Contro squadre molto chiuse, con le linee compatte e pronte a distendersi in contropiede, il "Chucky" mette meno paura. Gioca spesso spalle alla porta, se impiegato da seconda punta. Come si poteva prevedere, dà il meglio quando può partire più largo. Ma nel 4-4-2 entra in conflitto da un lato con Callejon, dall'altro con Younes e Insigne. Il messicano, esplicita richiesta di mercato di Ancelotti, per ora non ha una posizione. Certo, anche Platini, Falcao e Zidane hanno avuto bisogno di mesi per ambientarsi al calcio italiano. Ancelotti però ha bisogno di trovargli presto una dimensione. Quanto ci vorrà perché si torni a parlare della sua scelta di piazzare Henry come tornante alla Juventus? Allora il tempo non gli ha dato affatto ragione.
Ghoulam e l'emergenza terzini
Non sembra del tutto chiara nemmeno la situazione di Faouzi Ghoulam. "Ora non è pronto per giocare” ha detto Ancelotti. Una risposta sintetica e un po' infastidita nel dopo partita. Ghoulam non ha giocato in Champions né nelle ultime due partite di campionato. Si è scaldato ma non è entrato nemmeno per sostituire Malcuit. Ora, con il suo infortunio che appare serio, a sinistra l'emergenza si crea. Hysaj e Mario Rui sono ancora indisponibili. Adesso che succederà? La bocciatura di Ghoulam terminerà?
Dalle risposte a queste domande, quelle in campo più di quelle lasciate andare nei post partita, passa il futuro del tecnico, della stagione del Napoli, il suo posto in questa Serie A. Ancelotti non può più poggiare sul peso del blasone, la storia, le coppe dei campioni vinte da giocatore e da allenatore. Perché non è la bacheca che va in campo. E i risultati finora non premiano.