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Christian Giuffrida: “Campioni con i social sarebbe stato devastante. A Roma dovettero portarci via”

Christian Giuffrida, uno dei protagonisti del Cervia di “Campioni”, racconta com’è stato vivere il reality da dentro tra aneddoti personali e curiosità sul programma Mediaset, che divenne un vero e proprio fenomeno televisivo per gli appassionati di calcio.
A cura di Vito Lamorte
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Il 6 settembre del 2004 iniziava "Campioni – Il sogno". Sono passati vent'anni dall'idea di Mediaset di portare le telecamere nello spogliatoio del Cervia, club che partecipava al torneo di Eccellenza romagnola, e far vedere a casa tutte le dinamiche che si sviluppano intorno ad una squadra di calcio. Le cose all'inizio non andarono benissimo ma pian piano il progetto ingranò e ancora oggi un eroe del Mundial '82 come Ciccio Graziani viene ricordato come l'allenatore della squadra più tifata d'Italia.

I padroni di casa erano Ilaria D'Amico, il primo anno, e Daniele Bossari, il secondo, che tenevano le redini di un format che si basava su un compromesso, ovvero che la scelta della formazione fosse condivisa tra la guida tecnica e la volontà del pubblico da casa attraverso il televoto. Dopo un'iniziale flop, le cose migliorarono e si toccarono anche punte di 47% di share, ovvero quasi una famiglia su due guardava le gesta dei ragazzi di Graziani la domenica mattina e nel serale in cui si commentava l'andamento della squadra.

A Fanpage.it Christian Giuffrida, uno dei protagonisti di quella squadra e di quel reality, racconta com'è stato vivere il sogno di "Campioni" da dentro tra aneddoti personali e curiosità sul programma Mediaset che divenne un vero e proprio fenomeno televisivo.

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Cosa fa oggi Christian Giuffrida?
"In passato ho lavorato come tour leader nei viaggi e sono rimasto nel settore turismo creando un progetto che si chiama ‘Visit Rome Official’, una guida senza scopi di lucro dove condivido consigli e qualche curiosità sulla città. È un progetto nato per caso ma che sta crescendo in maniera organica. In passato ho lavorato come social media manager per alcune aziende mentre oggi mi occupo di supervisione del network in franchising, sia da casa che sul posto. Mi occupo sia del lato marketing che del lato operations che su quello amministrativo".

Sono passati vent’anni da ‘Campioni-Il sogno’: a livello personale che esperienza è stata?
"Sembra ieri ma il tempo è volato. Sono felicissimo della vita che ho ma mi capita di ripensarci un po’ quando rivedo qualche video o i meme sui social. Un sorriso me lo strappano sempre. Ogni tanto mi capita di ricevere foto di poster o di magliette finite nei meandri degli armadi di chi ci seguiva ed è sempre bello e divertente parlare di quel periodo con le persone per farsi due risate. All’epoca non c’era Instagram, non c’era Facebook… sembra davvero una cosa di cento anni fa".

A questo proposito: che impatto avrebbe avuto un reality come Campioni oggi con i social?
"Penso che avrebbe avuto un impatto importante, per non dire devastante, ma sono contento che l’abbiamo vissuta senza social perché non è stato un qualcosa di ‘drogato’: quella notorietà non era dettata dalla schiavitù del postare e del condividere ogni momento qualcosa. Noi viviamo la giornata in maniera spensierata ed era bello scoprirla piano piano quella notorietà. Io ricordo un evento a Roma, che si doveva sviluppare in via del Corso legato ad Adidas mi pare, e nessuno aveva capito la percezione che il programma aveva avuto sul pubblico. Nemmeno gli autori. La partita si svolgeva in Emilia-Romagna e i riferimenti sul pubblico erano solo dettati dallo share e dai telespettatori. Fu un tale casino, un successo clamoroso, che dovettero portarci via tanto dal caos che si era creato. Erano altri tempi e non era così facile avere la percezione di quanto e cosa avresti spostato. Con i social ci sarebbe stata un enorme visibilità per tutti ma è andata meglio così perché abbiamo mantenuto una spontaneità che forse oggi non ci sarebbe stata".

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A proposito di spontaneità: quanto venivate preparati per dirette e quanto, invece, era frutto del momento?
“Noi stavamo dentro questo convitto enorme con telecamere ovunque, quindi era una sorta di Grande Fratello ma con la differenza che avevamo un’oretta libera al giorno: finito l’allenamento avevi un momento di svago oppure il lunedì dopo la partita avevamo una mezza giornata libera. Potevamo ritagliarci dei momenti lontano dalle telecamere, ma io credo che se metti 27 ragazzi all’interno di una casa, ripresi continuamente, qualcosa esce. La parte del campo creava già argomenti e poi il resto veniva in automatico. L’unica cosa che facevano, adesso che ci penso, era mettere delle domande sul microfono e dare spunti di discussione che poi andavano da sole. Dopo dieci minuti nessuno poi si ricordava da dove era nata ma intanto erano scaturiti già diversi momenti che in tv avrebbero funzionato. Questi, forse, erano gli unici momenti più preparati ma per il resto no”.

"Lasciate i telefoni sempre accesi che non sappiamo se torniamo". C’è questo retroscena sul reality che andava male e non si sapeva se dopo la pausa natalizia sarebbe andato avanti. Questa cosa è vera o è stata creata per alimentare un po’ la discussione intorno al programma anche negli anni?
"Posso confermarlo e a distanza di anni, anche mantenendo rapporti con autori del programma, posso dire che inizialmente avevano immaginato un format improntato sui calciatori e le ragazze che facevano venire in convitto a Milano Marittima, più basato sulle relazioni fuori dal campo in pratica. A distanza di un paio di mesi si accorsero che lo share più alto era la diretta della partita la domenica mattina. La gente voleva vedere le dinamiche di spogliatoio più che il convitto, le sfuriate del mister… e lì venne cambiata la direzione del programma, portandolo alla definitiva esplosione. Se lo guardi oggi, con le dovute proporzioni, Campioni è stato precursore dell’intervista a fine primo tempo che si fa in Serie A o delle telecamere negli spogliatoi prima della partita. In quel reality certe cose sono state introdotte per fare show mentre oggi fanno parte della quotidianità anche nel calcio professionistico".

Com’era mister Ciccio Graziani fuori dalle telecamere?
"Io ero un ragazzino e qualsiasi cosa mi dicevano per me era oro colato. Io venivo da un settore giovanile e ho appreso molto in quel periodo ma mister Graziani ha dato tanto a me e a tutti, sotto tutti i punti di vista. Sia sotto quello tecnico che umano. Fuori usciva solo la parte del personaggio e le clip della Gialappa’s ma noi abbiamo vissuto molto altro con lui. Era preparatissimo e aveva uno staff che ci ha aiutato a prepararci al meglio e a vincere il campionato".

Dopo aver preso parte alla prima edizione, venne richiamato per la seconda…
"Io andai a giocare in Serie B svizzera, a Bellinzona, ed è l’unico rimpianto che ho della mia vita da calciatore. Per quanto il Cervia avesse calciatori che per buona parte venivano dai pro, faceva comunque un campionato non professionistico e io a 18 anni arrivo in Svizzera subendo un impatto forte. Non trovai spazio e di lì a poco mi richiamarono dal Cervia: al Bellinzona mi allenavo ma non giocavo e così decisi di tornare. Lì forse ho sbagliato a non aspettare. A dicembre tornai in Serie D".

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Cosa si era rotto nel format di Campioni e perché non funzionava più?
"Noi facemmo i playoff in Serie D, che comunque non è semplice o scontato, ma ricordo che venne ridotto tutto man mano, anche gli investimenti sembravano molti di meno. Banalmente anche dalle telecamere che c’erano in giro in casa. Ci fu una riduzione dei costi e a catena ricadde su tutto. Quel format muoveva una quantità di persone incredibile che da Roma e Milano si erano trasferiti in Emilia-Romagna e non credo potesse durare a lungo".

Lei ha continuato a giocare anche dopo: ci racconta il suo percorso calcistico dopo Campioni?
"Io ho iniziato una carriera in Serie D tra centro e sud Italia fino a quando non mi sono fermato nell’hinterland romano".

Gioca ancora?
"In realtà no, ho smesso otto anni fa. Tra proposte lavorative e altre situazioni ho smesso molto presto".

Cosa vuol dire essere il fratello di un’atleta, Odette Giuffrida, capace di vincere medaglie ai Giochi Olimpici?
"Ho avuto la sfortuna di nascere prima di mia sorella perché lei mi ha insegnato tante cose quando io già ero vecchio. Mi ha fatto capire cosa vuol dire la determinazione, il sacrificio, la costanza e lavorare duro per un sogno. Io credo che la cosa più bella è stata vederla nelle preparazioni di questi eventi. Ma questo vale per tutti questi atleti. Vivendo mia sorella ho scoperto un mondo di persone che lavorano nell’ombra per una competizione nella quale devono essere perfetti. Alcuni sanno anche già di non poter vincere ma hanno questa sfida contro se stessi e si allenano più volte al giorno, nei weekend, e senza togliersi mai uno sfizio perché devono seguire un percorso. È un grande orgoglio per me essere suo fratello e mentre lo racconto mi viene da piangere perché mi ha regalato delle emozioni bellissime. Vedere la gioia, la felicità, di una persona che ami è più di una tua vittoria".

Come tutti i tifosi della Roma anche lei non avrà apprezzato l'esonero di Daniele De Rossi ma, a differenza di altri, Giuffrida è amico dell’ex allenatore giallorosso. Ci può dire se l’ha sentito in queste settimane e come lo ha trovato?
"L’ho sentito ma, se devo dire la verità, abbiamo parlato di altro. Non mi sentivo di mettere il dito nella piaga. Per come lo conosco è stata una bella botta per lui. So quanto ci tenesse perché ogni volta che gli scrivevi nei mesi scorsi era lì a Trigoria a preparare allenamenti/partite ma ho evitato domande perché so quanto ci teneva".

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