Chi era Carlo Castellani, il bomber che si sacrificò per salvare suo padre dai nazisti
Quello di Carlo Castellani è un nome noto per gli appassionati di calcio. A quest'uomo è intitolato lo stadio dell'Empoli, squadra toscana che da tanti anni lancia calciatori e che è presenza quasi fissa in Serie A. Ma forse non molti conoscono la storia di Castellani, che era un bomber negli anni '30 e che morì in un campo di concentramento nel 1944.
Castellani era nato nel 1909 a Fibbiana una frazione di Montelupo Fiorentino. Da giovane aveva una grande passione per il calcio e quando aveva 17 anni esordì con l'Empoli, club del quale divenne una bandiera. Tutt'ora è il secondo bomber all-time degli azzurri. In un'occasione realizzò cinque gol in una sola partita. Poi passò al Livorno, tre anni con gli amaranto prima di passare al Viareggio e di tornare all'Empoli, che però aveva cambiato denominazione e si chiamava Italo Gambacciani. Nel 1939 lasciò l'attività, poi scoppiò la guerra.
Carlo Castellani era sposato e aveva due figli, non dimenticò l'Empoli che sostenne con fondi per le trasferte e soprattutto la famiglia. Lavorava con il padre che aveva un bazar dove si trovava di tutto, poi aprì una segheria. La sua vita cambia nella notte tra il 7 e l'8 marzo del 1944 quando venne arrestato con l'inganno e deportato nei campi di sterminio.
In quei giorni nella zona di Empoli ci fu una massiccia adesione a degli scioperi antifascisti. La risposta agli scioperi sono i rastrellamenti. Viene stilata una lista da repubblichini e carabinieri, come ha raccontato due anni fa il figlio di Castellani. Tra i ventuno nomi venne inserito anche quello di David Castellani, il papà di Carlo, che era un fervente socialista, già per questo era considerato un nemico, in più non aveva preso la tessera e aveva un nome che sembrava riportare a origini ebraiche.
Quella notte carabinieri e gerarca bussano a casa di Castellani. Papà David ha la febbre. Carlo si offre di andare al suo posto dal maresciallo. Gli dicono che il militare vuole ricevere il papà. Carlo Castellani non sa della retata, va al posto del padre, saluta la madre, esce di casa pensando di tornare presto, ma non ci tornerà più. Dalla caserma di Montelupo passa a Firenze e da lì con un treno marci partito dal binario 6 della Stazione di Santa Maria Novella parte verso Mauthausen.
Il figlio Franco, due anni fa, nel Giorno della Memoria quando il Comune di Montelupo ha svelato la pietra d'inciampo intitolata a Castellani ha raccontato cosa accade: "Pensando di essere tranquillo e di non avere nulla da temere si offrì mio padre al suo posto, rassicurato anche dalla guardia comunale, Orazio Nardini che gli disse che la mattinata successiva sarebbe tornato a casa. Mio padre tornò indietro, salutò mia madre dicendole “ci vediamo presto” e mi diede un pizzicotto, dicendomi di fare il bravo. Alla stazione di Santa Maria Novella c’era un treno ad aspettarli, nessuna cuccetta, ma un cassone dove vennero stipate una sessantina di persone. Il treno partì e dopo tre giorni, senza mangiare né bere arrivarono a Mauthausen. Fecero l’appello e a ciascuna persona dettero un numero; mio padre assieme ad Aldo Rovai venne trasferito dopo due giorni al sotto campo di Gusen".
Le condizioni di vita erano tremende. Castellani lavorava e mangiava appena: "Il pasto consisteva in una brodaglia marrone che ricordava il caffè latte, un tozzo di pane e un po' di margarina. Quello era il cibo che veniva dato loro per tutta la giornata".
Una persona in media resisteva tre mesi prima di morire, Castellani visse fino all'11 agosto del 1944: "Mio padre si ammalò di dissenteria, dimagriva a vista d'occhio. L'amico Aldo Ravai si presentò nella baracca dove era pochi giorni dopo la sua morte, gli dissero che non c'era più e che l'avevano cremato". All'amico Ravai il giorno prima della morte disse: "Racconta di quanto sofferto". A Carlo Castellani è stato intitolato poi lo stadio di Empoli e pure quello di Montelupo Fiorentino, la sua città.