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Che fine hanno fatto gli olandesi del Milan dei record?

C’è un sottile filo rosso che lega Van Basten, Rijkaard e Gullit, eroi milanisti degli anni ’80 e ’90, ma poco fortunati nelle successive esperienze lontano dal campo. Tutti e tre sono passati dalla panchina della Nazionale olandese e tutti e tre, dopo alterni risultati e fortune, hanno optato per un rapido ritiro.
A cura di Mirko Cafaro
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C'è un filo sottile che unisce le esperienze post-campo dei tre campioni olandesi che hanno fatto grande la storia del Milan negli anni '80 e '90. Il mitico trio, composto da Marco Van Basten, Frank Rijkaard e Ruud Gullit, ha rappresentato a lungo il volto di quella squadra, allenata da Sacchi e poi Capello, capace di vincere tutto e di realizzare i sogni di grandeur del presidente Berlusconi. Gol, vittorie, coppe alzate al cielo e serate mitiche rimaste nella memoria di tifosi rossoneri e semplici appassionati. Un'epopea, di cui sono piene le pagine di storia del calcio, quasi sempre felice se si eccettua l'addio anticipato di Van Basten per i ben noti problemi congeniti alla caviglia.

Eppure a cotanti risultati di campo non hanno fatto seguito altrettanti successi in ambito familiare e tanto meno nelle vesti di allenatore, carriera che con durate diverse hanno intrapreso tutti e tutti con un'esperienza alla guida della Nazionale olandese. Di fatto, il migliore dei tre si è rivelato Rijkaard, sfortunato alla guida degli Oranje (il suo epilogo a Euro 2000 fu con il cucchiaio di Totti), ma capace poco più tardi di riportare il Barcellona sui palcoscenici più importanti del calcio europeo e mondiale. Il suo epilogo anticipato di carriera, però, ha sorpreso molti sia per la rapidità dell'inatteso declino sia per le sue dichiarazioni seguite al ritiro a vita privata. Quello durato meno di tutti è stato Gullit, tra fugaci esperienze in Premier e nella prima MLS americana, mentre il cigno di Utrecht si è presto arreso a risultati negativi e allo stress.

Rijkaard, tra vita privata e senso di inadeguatezza

Il suo inizio in panchina è stato subito lanciato: ct della Nazionale Oranje con annessa partecipazione all'Europeo di scena in Olanda e Belgio nel 2000. Frank è sicuro delle potenzialità della sua squadra, tanto da arrivare a promettere le dimissioni in caso di mancata vittoria. Il resto della storia la conosciamo con l'eliminazione in semifinale contro l'Italia e l'ex centrocampista che mantiene la promessa di andarsene. Da quella sconfitta, però, arriva inattesa la chiamata del Barcellona. Fu Cruijff a intravederne le qualità, forse anche ben oltre la considerazione che aveva di sé lo stesso Rijkaard, e a richiederne la nomina a gran voce. Segue un periodo felice in cui il Barcellona acquista elementi del calibro di Eto'o, Deco e Giuly, consacra Puyol e Ronaldinho, lancia Xavi, Iniesta e Messi dalla cantera e soprattutto vince: due campionati spagnoli, due supercoppe e anche la Champions League. Missione compiuta. L'anno successivo, però, a sorpresa Rijkaard sceglie di passare al Galatasaray e, nonostante una campagna acquisti faraonica, non riesce a centrare l'obiettivo del titolo e dà inizio al suo declino. Seguiranno esperienze da ct dell'Arabia Saudita e in Florida a capo di un'Academy. Ultima tappa prima della decisione di ritirarsi a vita privata, annunciata con un'insolita dichiarazione: "Sono onesto con me stesso, non mi vedo un autentico allenatore. Per 16 anni ho fatto qualcosa non direttamente compatibile con me, ma l'ho fatto con il cuore e l'anima".

Van Basten, lo stress killer e quella battuta infelice

Anche Van Basten ha quasi del tutto bypassato la gavetta in panchina. Dopo un solo anno alla guida dello Jong Ajax, viene nominato commissario tecnico della Nazionale olandese. La prima esperienza ai Mondiali tedeschi del 2006 è però un fallimento con l'uscita agli ottavi per mano del Portogallo; non va meglio agli Europei del 2008, dove a valle di un girone concluso con tre vittorie (contro Italia, Francia e Romania), viene estromesso ai quarti dalla Russia. Nel 2008, quindi, il ritorno alla guida della prima squadra dell'Ajax dura solo un anno dopo la mancata qualificazione in Champions. Nel 2012 l'approdo all'Heerenveen, dove conquista un ottavo e un quinto posto, per poi chiudere anzitempo la successiva esperienza all'AZ Alkmaar a causa di problemi cardiaci. Nei passi successivi ottiene anche un ruolo da vice in Nazionale con Danny Blind. Scelta giustificata con la volontà di assumere meno responsabilità: "Troppo forte lo stress nel ruolo del mister – ha spiegato – fare l'allenatore mi ha sempre più spesso causato problemi fisici e mentali, preferisco un ruolo più in ombra". Lo stesso cono d'ombra in cui è finito lo scorso novembre, dopo una battuta infelice e a sfondo nazista durante una trasmissione di Fox Sports Olanda. Battuta che gli è costata la sospensione per una settimana dal suo ruolo di opinionista.

Gullit, una meteora tra Inghilterra, Nazionale e MLS

Gullit è stato il primo ad esordire in panchina. Già nel 1996, infatti, sostituisce Glenn Hoddle al Chelsea vincendo la Coppa d'Inghilterra. Un'esperienza felice ma fugace, perché nel febbraio del '98, a seguito di scarsi risultati viene sostituito da Vialli. Passano pochi mesi e accetta l'offerta del Newcastle, dove raggiunge la finale di FA Cup al primo anno, ma viene esonerato dopo appena cinque partite della sua seconda stagione. Nel 2003, quindi, passa alla nazionale Under-19 e poi nel 2004 è co-allenatore della formazione maggiore agli Europei di Portogallo. Dopo l'Europeo, quindi, è la volta del Feyenoord con un quarto posto in Eredivisie. Finisce qui di fatto la sua carriera, se si eccettuano due fugaci esperienze minori con i Galaxy di Los Angeles nel 2008 e i russi del Terek Groznyj, quest'ultimi allenati per 13 partite prima dell'esonero. Attualmente è opinionista per BeIN Sports e Ziggo Sport ed è stato nominato ambasciatore per l'Europeo 2020.

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