Champions, i grandi club chiedono di anticipare la finale. Lisbona candidata
Anticipare la finale di Champions di una settimana (il 22 e non il 29 agosto). Modificare il format, aprendo a una final eight o final four da disputare (eventualmente) in campo neutro, a porte chiuse, con quarti e semifinali in gara secca. Concentrare tutte le partite in due stadi al massimo, finale compresa. Dove? In Portogallo tra il "Josè Alvalade" e il "Da Luz" di Lisbona che ospiterebbe invece il match per l'assegnazione del trofeo, con Monaco di Baviera e Madrid (il Wanda Metropolitano) quali alternative.
Il 17 giugno il Comitato esecutivo della Uefa. È l'ipotesi che – secondo quanto raccolto da Mundo Deportivo – sarebbe caldeggiata dai grandi club europei attraverso l'Eca e la Uefa prenderà in esame il 17 giugno. Il Comitato esecutivo convocato per allora determinerà, con ogni probabilità, anche il calendario delle partite che riprenderanno dal percorso interrotto a marzo scorso in concomitanza degli ottavi di finale. Juventus e Napoli devono giocare ancora il ritorno, l'Atalanta invece è già qualificata ai quarti.
Perché si fa largo un'idea del genere? L'obiettivo è guadagnare una settimana sulla chiusura della stagione nelle Coppe così da non spingersi troppo oltre con l'avvio della prossima edizione dei campionati nazionali (anche in previsione dell'Europeo 2020 in programma tra giugno e luglio del 2021) e permettere ai calciatori ancora impegnati in Champions ed Europa League di beneficiare di un periodo di riposo alla luce del calendario serrato tra tornei nazionali e continentali. A pesare sarebbero anche le difficoltà logistiche e organizzative vincolate alle restrizioni di volo tra i Paesi, al soggiorno in albergo e nelle strutture dove effettuare ritiri e allenamenti.
Quali sono le incognite sul tavolo. La prima fa riferimento all'Europa League (in corsa per l'Italia ci sono ancora Inter e Roma) la cui finale è prevista a Danzica il 26 agosto e, come la Champions, dovrebbe essere anticipata di una settimana (19 agosto?). La seconda chiama in causa direttamente i broadcaster che detengono i diritti di trasmissione delle partite: dovrebbero accettare di mandare in onda un numero di eventi inferiore rispetto a quelli previsti da contratto.