Cesare Prandelli ricorda la sua “folle” Italia con Cassano e Balotelli: “Con me funzionavano bene”
Cesare Prandelli ha detto il proprio addio ufficiale al calcio nel marzo 2023: dopo 16 anni vissuti sui campi come calciatore e ben 30 sulle panchine di tantissimi club, compresa quella da ct della Nazionale italiana tra il 2010 e il 2014, dove si è fregiato di un argento conquistato agli Europei del 2012 e un bronzo, ottenuto nel 2013 in Confederations Cup. Un periodo in cui nella formazione azzurra hanno anche saputo convivere due fuoriclasse tanto assoluti quanto ingestibili come Antonio Cassano e Mario Balotelli. Mai nessun altro, prima o dopo riuscì a osare tanto.
Quando nel maggio 2010 la Federcalcio sceglie di cambiare sulla panchina dell'Italia e chiede a Cesare Prandelli di assumerne il comando prendendo il testimone "ingrato" da Marcello Lippi che proveniva dal suo secondo mandato, dopo l'escalation mondiale di Berlino 2006, il tecnico di Orzinuovi non tentennò un attimo: contratto da quattro anni, un progetto corposo con la possibilità di ricostruire un gruppo e un ciclo. Costruendo da subito qualcosa di unico: il famoso "codice etico" azzurro secondo il quale chi si sarebbe macchiato di comportamenti inappropriati o antisportivi, non avrebbe ricevuto la convocazione.
Ma proprio dalle convocazioni, Prandelli mostrò un coraggio e una scelta che ancora oggi sono rimaste uniche: Gianluigi Buffon ricevette i gradi da capitano, dopo l'addio di Fabio Cannavaro, ma soprattutto entrarono nel giro azzurro contemporaneamente Antonio Cassano e Mario Balotelli. Due tra i talenti più puro ma anche in rappresentanza di giocatori tra i più ingestibili, incapaci di seguire le regole comuni. Con tutti, ma non con Prandelli che ricorda: "Con me hanno funzionato bene, dopotutto a supportarli c'era un centrocampo importante, con calciatori tecnici. Cerano Pirlo, Motta, De Rossi, Montolivo e Marchisio".
Un miracolo calcistico? Assolutamente no, ribadisce Prandelli tornando a 15 anni fa: "Le individualità brillavano perché alla fine facevano parte di un gruppo importante, questo ra il segreto. Tutti mi dicevano che giocavo come la Spagna, ma non era vero. Io puntavo solamente a tirare fuori il meglio dai miei giocatori, non volevo giocare come tutti gli altri e volevo valorizzare solo le caratteristiche del gruppo". Regole semplici, idee chiare, che riuscirono a domare anche gli spiriti ribelli di Cassano e Balotelli, ogni giorno al centro di polemiche, critiche, situazioni borderline.
Se SuperMario era il terminale che doveva concretizzare, FantAntonio risultava il volano del sistema di gioco. Proprio sul barese si era concentrato il lavoro di Prandelli: "Il vero regista era Cassano e da metà campo in poi tutto ruotava attorno a lui. In campo non è mai stato individualista chi lo dice si basa su uno stereotipo. Il suo problema era che a volte il suo ego si infiammava e poteva perdere la concentrazione, ma non era mai egoista. Anzi" assicura Prandelli, "era troppo altruista e avrebbe potuto segnare più gol. Potremo stare qui a parlare di lui fino alla fine dei giorni: sì, viscerale, diretto, senza filtri, ma dal lato umano non ha mai deluso nessuno nella nostra Italia".
"Non fu difficile per me" assicura ancora Prandelli parlando a Relevo, relegando ad una collegiale incapacità di gestione tutti i suoi predecessori e i suoi successori sulla panchina azzurra: "Volevano anche loro farcela con la maglia azzurra, erano motivati e sono stati ben accettati dal gruppo. Il problema è stato successivo, quando le cose non sono andate bene ed è servito subito un responsabile. In quel momento ho fatto un passo avanti io" ricorda ancora. "Accettando io stesso le critiche. L'equazione fu semplice, niente di machiavellico".