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Castellacci a Fanpage.it: “Non è un’eresia fermare il calcio, il rischio di contagio c’è”

Cosa succede se un giocatore viene trovato positivo al Coronavirus? L’emergenza che ha investito l’Italia ha avuto riflessi anche sul mondo dello sport, con la Serie A che ha rischiato (e rischia) la paralisi. A spiegare cosa sta accadendo è il professor Enrico Castellacci, ex responsabile dello staff medico della Nazionale e oggi presidente dei medici italiano di calcio. “Non va alimentata la psicosi ma deve essere chiaro che ci troviamo di fronte a una pandemia, considerata la portata internazionale del contagio, e non più un’epidemia”.
A cura di Maurizio De Santis
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Un mese a porte chiuse. È la soluzione imposta dal Governo per fare fronte all'emergenza Coronavirus (qui tutti gli aggiornamenti in tempo reale). La salute pubblica prima di tutto, concetto a voce condiviso dalle società di calcio ma nei fatti accettato "obtorto collo" sia per le ricadute economiche sia sportive. Le polemiche e i sospetti hanno scandito le ultime ore lasciando in secondo piano l'aspetto più importante della questione: il rischio che l'intera attività sportiva possa paralizzarsi è concreto. Altrettanto che la stessa Serie A, così litigiosa e improvvida nell'approccio alla vicenda, sia costretta a concludere la stagione in anticipo. Cosa sta succedendo? Lo spiega il professor Enrico Castellacci, ex responsabile dello staff medico della Nazionale e oggi presidente della Lamica (L'associazione medici italiani calcio).

Domanda secca: per tutelare la salute di tutti non sarebbe stato più giusto sospendere il campionato? 

"Non sarebbe stata un'eresia sospendere tutta l'attività agonistica e, per quanto riguarda il mondo del calcio, dalla Serie A fino ai campionati giovanili. La situazione che stiamo vivendo è molto delicata. Non va certamente alimentata la psicosi ma deve essere chiaro che ci troviamo di fronte a una pandemia, considerata la portata internazionale del contagio, e non più un'epidemia".

Quanto è alto il rischio di contagio in una squadra di calcio oppure tra avversari?

"Diciamo anzitutto che le modalità di trasmissione non sono tanto diverse rispetto alla quotidianità delle persone comuni. Semmai è differente l'eventualità che ciò accada soprattutto se consideriamo un fattore. Certe discipline sportive, e il calcio è tra queste, si basano anche sul "contatto" tra atleti. Ed è ovvio che in casi del genere il rischio c'è, è alto e non può essere sottovalutato".

Come cambia la vita nello spogliatoio di una squadra in questo momento?

"La gestione della quotidianità diventa molto difficile in una situazione del genere. La promiscuità, intesa come condivisione e vicinanza fisica all'interno di uno stesso luogo, sicuramente non aiuta. Cosa si può fare? Seguire quelle raccomandazioni elencate dalla Federazione medici sportivi italiani facendo molta attenzione a prendere tutte le precauzioni come limitare al massimo i contatti, lavarsi le mani, riporre indumenti e oggetti personali nelle proprie borse".

Cosa dice il protocollo in caso di contagio di un calciatore o di qualsiasi altro membro dello staff tecnico o dirigenziale?

"Al di là del tampone, che va fatto per verificare la positività o meno, la questione è molto semplice… vanno in quarantena tutti. Nessuno escluso".

Una squadra in quarantena col il rischio di compromettere il regolare svolgimento di un campionato.

"Sostengo da tempo, da prima ancora che il fenomeno si allargasse, che certe considerazioni andavano e vanno fatte perché non si può prescindere da un assunto: la salute viene prima di tutto. Ma per questo ci sono gli organi istituzionali deputati ad adottare le soluzioni più giuste".

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