Camarda, il primo allenatore avvisa il Milan: “C’è solo un errore che non bisogna fare con lui”
Francesco Camarda è uno dei talenti italiani più attenzionati degli ultimi tempi e su di lui c'è un grande hype. C'è chi lo considera pronto per giocare con la prima squadra del Milan e chi teme di bruciarlo. Di colpo, però, ecco l'occasione: il giovane attaccante può ritrovarsi convocato per la partita contro la Fiorentina dopo l’infortunio di Okafor, che si è aggiunto a quello di Leao e alla squalifica di Giroud. Stefano Pioli potrebbe decidere di portare in panchina il classe 2008, che se dovesse esordire diventerebbe il più giovane calciatore ad aver giocato in Serie A (15 anni e 259 giorni) superando Wisdom Amey del Bologna (15 anni, 9 mesi e 1 giorno).
La storia del Camarda con il calcio giocato è inizia a 4 anni fuori da uno dei campetti della GSD Afforese, dove era andato insieme alla mamma per accompagnare il cugino più grande. Da quel giorno il calcio e Francesco non si sono più lasciati, anzi. Il suo nome è sempre più ricorrente e di lui ha parlato a Fanpage.it Massimo D'Amaro, il suo primo allenatore.
D'Amaro, cos’aveva Camarda che non avevano i suoi coetanei?
"Lui è arrivato da noi a 4 anni e mezzo e ha iniziato a giocare la stagione successiva (2012-20123) che aveva 5 anni: in realtà un bambino si vede subito se viene al campo perché gli piace o perché viene ‘parcheggiato’ dai genitori. Si vedeva che gli piaceva tantissimo, sempre presente agli allenamenti suoi e a quelli del cugino per vedere cosa facevano i più grandi. Dopo l’allenamento si fermava con me per fare altro che non avevamo fatto prima. Era già portato e si vedeva chiaramente, questo vale per tutti e non c’è discorso di età che tenga. Quando aveva 5-6 anni faceva tanti gol, spiccava proprio in mezzo agli altri e questo era lampante".
Che ricordi ha del periodo della sua formazione?
"In ogni partita lui faceva qualcosa di diverso, posso farti anche un esempio semplice come il colpo di testa: un bambino di quell’età ha paura e difficilmente ci prova, lui lo faceva. Non aveva paura, andava in autonomia. Se vedeva qualcosa di diverso anche dai grandi provava a rifarlo. Anche guardando i semplici allenamenti dei più grandi, subito provava a rifare delle cose. Una bella mentalità. Ed era proprio portato, oltre a piacergli tanto il calcio".
Un gol come quello contro il PSG in Youth League è nelle sue corde o è un episodio isolato?
"La rovesciata non si insegna in una scuola calcio, ma lui vedeva la palla arrivare alta e provava. Probabilmente l’aveva vista in tv o altrove, non saprei, ma aveva l’istinto di provarci. La coordinazione, la postura, il gesto… ce l’aveva già. Poi dipende da tante cose e tante variabili l'esito finale, ma non è quello il punto. Pochi bambini che ho avuto provavano giocate simili, lui lo faceva. Lì c’era qualcosa, è stato con noi due anni ma si vedeva. Se vuoi saperlo, mi sono tenuto il suo cartellino…".
Si spieghi meglio.
"Sono passati più di 10 anni ma conservo ancora il suo cartellino e l’ho fatto perché si vedeva che c’era qualcosa. Poi è andata com’è andata e sono felicissimo per lui. Abbiamo un bel rapporto con la famiglia, sento il padre spesso e abbiamo una relazione di amicizia. Nonostante sia passato del tempo il legame è rimasto".
Qual è la sua qualità migliore in campo?
“Il tempismo, l'ha sempre avuto. Sembra che ce l’abbia innestato".
Invece su cosa, in particolare, può ancora crescere?
"Deve migliorare sulla timidezza a livello caratteriale, ma è una cosa che ha sempre avuto. Smorzando questa caratteristica credo che possa diventare un giocatore capace di fare la differenza".
Pensa che in altri paesi avrebbe già trovato spazio?
"A mio parere sì. Ma so che se dovesse giocare una volta, e non segna, si parlerebbe di ‘montatura’ o altro. Il problema è il modo di lavorare nel settore giovanile italiano. Se a questi ragazzi non dai la possibilità, non puoi aspettare i 22-23 dove magari hai perso qualche anno di formazione e di esperienza allo stesso tempo".
Si aspettava tutto questo hype su di lui?
"Non me l’aspettavo, speravo che riuscisse ad arrivare perché voleva dire che non mi ero sbagliato, ma non pensavo a questi livelli. Sono felicissimo che stia facendo questo percorso".
Qual è l'errore che non bisogna assolutamente commettere nella sua gestione?
"Se l’aspettativa è quella che il ragazzo possa risolvere i problemi dell’attacco del Milan, si parte male. Non si deve pretendere che sia un attaccante fatto e gli va lasciato il tempo di crescere, magari inizialmente utilizzandolo per spezzoni di partita e aumentandone pian piano l'impiego. Se dovesse davvero giocare farebbe un salto di categoria clamoroso e bisogna lasciarlo andare senza mettergli troppa pressione. Si vuole il giocatore pronto, ma Camarda non è nemmeno un primavera".
E l'errore che non dovrà commettere lui?
"Era un bambino molto serio e lo è sempre stato anche da ragazzo. In lui ho massima fiducia".