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Calzona disperato, la scena che inchioda i giocatori del Napoli: pascolano in campo senza seguirlo

La rabbia e lo sconforto del tecnico per l’atteggiamento del centrocampista fotografano la situazione dei partenopei: una squadra che sta solo aspettando la fine del campionato e ha staccato la spina da tempo. “L’ho trovata in una situazione disastrosa dal punto di vista mentale”.
A cura di Maurizio De Santis
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Nessun tecnico vorrebbe essere nei panni di Francesco Calzona, alla guida di un Napoli che in campo dà l'impressione (ed è qualcosa di tremendamente tangibile) di andarci perché deve, perché mancano tre partite e poi chi s'è visto, s'è visto. Perché questa stagione disastrosa e del contrappasso sconta la sicumera del presidente De Laurentiis che s'è creduto onnipotente e s'è ritrovato fuori da tutto, senza il tesoretto della Champions né la grandeur, ricca e appetitosa, del Mondiale per Club.

E no, non poteva allenarla chiunque questa squadra. E no, non vai da nessuna parte se programmi alla carlona. E sì, la figuraccia fatta è pari alle risate grasse dei nemici che hanno le lacrime agli occhi a vedere i campioni d'Italia ridotti in questo modo. E sì, è da illusi credere si possa vincere uno scudetto all'anno ma è da falliti galleggiare, appena un anno dopo e con il tricolore cucito sul petto, tra l'8° e il 10° posto, a -38 dalla vetta, -13 dalla 4ª piazza, con 51 punti. E il fatto che l'anno scorso, alla fine del girone di andata ne aveva raccolti 50 dà l'esatta dimensione della disfatta e del disfacimento totale.

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Ognuno fa quel che gli pare nell'attesa che, a bocce ferme, si delinei il futuro in maniera chiara. Qualcuno sa già cosa gli accadrà e adesso non ha voglia di rischiare la gamba né ha abbastanza testa per andare al di là del compitino ordinato. Basta dare un'occhiata alla mimica di Cajuste durante la partita di ieri sera a Udine per comprendere – ma è solo uno dei tanti esempi – come possa sentirsi Calzona in questo momento e perché lui stesso, in cuor suo, forse non vede l'ora di staccare la spina a un'esperienza durissima.

È il 40° del primo tempo, il risultato è ancora fermo sullo 0-0, il Napoli ha giochicchiato per tutta la prima parte dell'incontro contro un avversario impaurito e inerme. In altri (bei) tempi ne avrebbe fatto un sol boccone, oggi più di spiluccare proprio non gli va. Non ha più fame e si vede. Un'azione racconta alla perfezione la solitudine del tecnico: l'azione degli azzurri sta ripartendo dalla difesa, Lobotka è schermato dai calciatori friulani che gli chiudono lo spazio per impedirgli di prendere palla e ragionare. Sanno che è lui il cervello, l'uomo del ritmo e della giocata, il sarto che taglia e cuce la manovra, quello che dà, rallenta e toglie il ritmo alla bisogna e lo pressano.

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Calzona si sbraccia verso Cajuste, urla, lo richiama, gli chiede di non starsene impalato in una zona morta delle metà campo avversaria, gli indica la posizione opportuna da tenere per ovviare a quella situazione e offrire un'alternativa ai compagni. La reazione del francese è emblematica: allarga le braccia, resta fermo dov'è, non ha alcuna scintilla agonistica. Ostigard, che non sa a chi dare la palla, fa l'unica cosa che può fare in quel momento: passaggio orizzontale verso Rrhamani alla ricerca di un'altra via d'uscita e di un possesso palla sterile, lento, che serve a nulla e spegne la manovra. Accade tutto in pochi secondi, sono la fotografia di quel che è il Napoli: Cajuste volta le spalle a Calzona che, a sua volta, si gira infuriato perché si accorge di parlare a vuoto. Tanto sa (e lo sanno anche i calciatori) che tra meno di un mese non ci sarà più.

In conferenza stampa le sue riflessioni sono tanto amare quanto desolanti. Una è dedicata al risultato beffa, ennesimo boccone indigesto. "Non siamo fatti per la guerra in area (si riferisce al gol del pareggio preso da polli al 94°), non siamo preparatissimi sotto quest’aspetto. Sotto la mia gestione è la terza volta che succede". A Udine il Napoli vinse lo scudetto, a Udine il Napoli s'è rivelato quel che (non) è.

"È stata un’annata con tantissimi problemi, ho trovato una squadra in maniera disastrosa dal punto di vista mentale. C'erano tantissime cose da migliorare, alcune invece sono peggiorate – ha aggiunto Calzona -. Quando si è costretti a rincorrere per forza il risultato pieno, ti viene il braccino corto, non hai la testa libera. Non è una scusante, ci sarebbe voluto più tempo e meno partite da giocare soprattutto all’inizio".

Nella lista dei rimpianti ce n'è uno che fa da attenuante. "Se fossimo arrivati a settembre, avremmo avuto 40 giorni di ritiro. Noi invece abbiamo avuto 7 partite in 20 giorni, poi abbiamo perso dieci giorni per la pausa delle Nazionali. E così non è facile riuscire a cambiare le cose e vincere". Coraggio, Calzona, il meglio è passato.

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