Caiata a Fanpage.it: “In Serie C rischia l’80% delle squadre, l’unica soluzione è il dilettantismo”
“Se non cambia nulla, a livello di regolamenti e sostenibilità, in Serie C rischia l’80% delle squadre”. Salvatore Caiata non è un dirigente che si nasconde dietro un dito e fa trasparire spesso il suo punto di vista sia sulle situazioni di campo che sulle questioni prettamente "politiche". Il presidente del Potenza Calcio e consigliere della Serie C, a Fanpage.it, ha parlato della proposta di stop fatta dalla Lega Pro dopo l'emergenza Coronavirus che ha colpito l'Italia, della drammaticità della situazione economica della terza divisione professionistica italiana e dell’ipotesi di una riforma della Serie C: Caiata da diverso tempo sostiene l’esigenza di modificare l’ordinamento dei campionati e questo potrebbe essere il momento giusto per riformare.
La Serie C si ferma. Lo possiamo dire, presidente? Chiudere qui la stagione è la soluzione migliore?
“La Serie C non può decidere autonomamente ma può dare un’indicazione e ha dato la sua, dando un segnale di grandissima maturità e coscienza civica, etica e morale. Ha preso atto prima di tutte le altre componenti del mondo del calcio che rispetto ad una tragedia mondiale, come quella che stiamo vivendo, ostinarsi su questa follia di dover giocare a tutti i costi non sia la scelta giusta ma bisogna mettersi da parte. Abbiamo espresso questa indicazione, che tiene conto delle nostre particolarità, quelle di essere in territori particolarmente colpiti, con squadre che sono state segnate da lutti e con la coscienza di non poter garantire la sicurezza dei propri calciatori. I presidenti non hanno la possibilità di adire i protocolli sanitari (quelli FIGC, ndr) e quindi come Consiglio Direttivo abbiamo manifestato la volontà di non giocare più e il presidente Ghirelli porterà questa istanza in Consiglio Federale. Non è una scelta che sta a noi abbiamo dato la nostra indicazione”.
II presidente Ghirelli un mese fa ci disse che "la Serie C ha le le antenne più vicine alla gente normale e per questo si è mossa prima". Per lo stesso motivo avete scelto di fermarvi?
“Sì, noi siamo un calcio che non è schiavo di situazioni particolari come diritti tv, che hanno ripercussioni forti da farti fare scelte obbligate. Sicuramente siamo il calcio della gente, di provincia, ma siamo il calcio che non ha i ricavi milionari ma ha gli stessi costi del calcio professionistico. Un calcio che va profondamente riformato e che non uscirà indenne da questa crisi”.
Parlando in termini realistici e senza troppi giri di parole: tutte le squadre di Lega Pro sarebbero in grado di applicare il protocollo per la ripresa del campionato studiato dalla FIGC?
“Non posso rispondere a questa domanda ma dico è un protocollo impegnativo e costoso, che pone una serie di problemi e non so, onestamente, se sono in grado di rispettarlo tutte le squadre di Serie A e di Serie B, figuriamoci in Serie C. Dico solo che pone problemi di ordine economico, da un lato, e etico, dall’altro, perché non fare tamponi a persone che possono essere tendenzialmente malate e farle a calciatori che sono tendenzialmente sani non è eticamente corretto. Dobbiamo, con un comportamento di grande maturità, far cambiare la percezione che in questo momento si ha del calcio perché in questo momento sembra che il calcio venga percepito come il figlio viziato nella famiglia dello sport, ovvero quello che non vuole prendere coscienza di quanto sta accadendo. La Lega Pro mi sembra che abbia dato un grande esempio di maturità”.
C’è il rischio di un’estate trascorsa tra un ricorso e l’altro?
“Ognuno è padrone in casa propria e prende le decisioni che ritiene più opportune. Faccio fatica a capire, sinceramente parlando, come rispetto ad una pandemia che tiene chiuse a casa 4 miliardi di persone come si possa anteporre il proprio piccolo interesse davanti ad una situazione di questo tipo. Io mi aspetterei un comportamento di grande maturità da parte di tutti però, purtroppo, temo che possa verificarsi tutto questo. Pure se si ha l’autorità, la leadership, per assumere decisioni che mettano d’accordo tutti è difficile che non accada perché ognuno pensa che il proprio universo sia l’unico e non ce ne siano altri. È difficile”.
Quante squadre rischiano di trovarsi in ginocchio a causa di questa situazione di crisi?
“Se non cambia nulla, in Serie C rischia l’80% delle squadre. Mi riferisco ai regolamenti, alla sostenibilità e credo che alle attuali condizioni son pochissime le società che possono continuare. Noi andiamo incontro ad una stagione prossima dove avremo ricavi tendenti a zero perché dai contributi della Melandri, che diminuiranno per via della diminuzione dei diritti televisivi; ricavi stadio, che saranno zero per la chiusura degli stadi; e sponsor, che accuseranno la crisi che colpirà tutto il mondo dell’economia; noi avremo campionati come quello di Serie C in cui i campionati rimangono immutati e i ricavi tendono a zero. L’unica fonte di sostentamento sono le tasche dei presidenti che, però, l’anno prossimo saranno tendenzialmente vuote perché impegnate a leccare le ferite delle proprie aziende e questo porterà ad una situazione di grandissima difficoltà da parte di tutte le squadre”.
Nei mesi scorsi era si è mosso in prima persona per una riforma della Serie C: crede che sia arrivato il momento giusto?
“O si procede con un percorso di riforme di questi campionati che renda sostenibile questi campionati o si rischia seriamente. Le riforme possono essere di due tipi: riforme con il supporto legislativo del governo, che richiedono tempi incerti e lunghi; o riforme che vengono adottate in autonomia dal calcio. Credo che la seconda strada sia quella migliore per noi perché dipendono solo da noi e sono più veloci nei temi di attuazione. Credo che l’unica possibilità di salvezza sia il dilettantismo in Serie C perché dobbiamo prendere atto che non c’è più spazio per 100 squadre professionistiche in Italia. Non c’era giù prima, figuriamoci adesso. Probabilmente c’è spazio per 60 squadre prof, che poi possano essere divise in tre campionati principali; oppure A, B e Elite, come vuole chiamarla Gravina; o, ancora meglio, come fu fatto dopo la seconda guerra mondiale con una Serie A e due gironi di Serie B (centro-Nord e centro-Sud) e da là in giù una Serie C dilettantistica. È una proposta che io farò perché cambiare lo status con il dilettantismo significa immediatamente dimezzare i costi delle società e questa, secondo me, è l’unica possibilità di salvezza. L’ideale sarebbe il semi-professionismo ma questo status al momento non esiste e dovrebbe essere introdotto da un provvedimento legislativo. Poiché non vedo tempi certi per un provvedimento del genere, l’unica soluzione per ora è il dilettantismo fermo restando che se la situazione economica dovesse migliorare nel corso degli anni si potrebbe ritornare al professionismo. In questo momento l’unica soluzione per rendere sostenibile il campionato di Serie C è il dilettantismo”.
Qual è lo scenario che si augura per i prossimi giorni e dopo la seduta assembleare della Lega Pro del 4 maggio?
“Mi auguro che ci sia unità di intenti ma, tendenzialmente, c’è. L’unico problema vero è che aver adottato la misura del blocco delle retrocessioni e far salire squadre dalla Serie D potrebbe aumentare ancora di più il numero delle squadre e la difficoltà nella sostenibilità. È chiaro che l’orientamento già espresso sarà quello di non accettare una indicazione di questo tipo e quindi sarà questo l’oggetto serio della riflessione. Il problema vero è questo del numero delle squadre e, tornando al discorso di prima, potrebbe essere risolto con l’adozione del dilettantismo. A quel punto 60 o 69 squadre non cambierebbe nulla perché il campionato sarebbe sostenibile. Ancora più sostenibile sarebbe una riforma che porterebbe una Serie B a due gironi o una Serie C Elite, o Serie B 2, che farebbe da contenitore per le grandi piazze della Lega Pro e livellerebbe il torneo e porterebbe via anche piazza che non c’entrano nulla con la C“.
Che effetto le fa vedere la Serie A ancora alla ricerca di una soluzione per tornare a giocare?
"Io, sinceramente, non so se ci sono le basi ma non sta a me dirlo perché la Serie A è un mondo a parte per cui loro sanno meglio di noi come comportarsi. Di certo è che se la Serie A dovesse scendere in campo sarebbe un bel supporto per chi in questo momento vivono una situazione di disagio, sarebbe un bel viatico per avere un luce in fondo al tunnel".
Nelle ultime ore si è parlato di un possibile utilizzo delle strutture della Basilicata: la vede un’ipotesi verosimile?
“Credo se ne sia parlato solo perché la Basilicata è una delle prime regioni ad avere un numero di contagiati molto basso negli ultimi giorni. Vedremo".